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Brexit

Comincia il gran ballo del 2019, ma lo stress sembra rimasto nel 2018

Si comincia con il voto sulla Brexit e si va avanti con il negoziato sui dazi e con le trimestrali USA che daranno la misura della tenuta di utili ed economia, mentre la Fed raggiunge il traguardo storico dei tassi reali positivi.

14 Gennaio 2019 08:33

Il pettine del 2019 si prepara a sciogliere o tagliare tutti i nodi che si sono andati aggrovigliando da un paio d’anni a questa parte, ma il mercato si avvicina alle scadenze non attraversato da particolari tensioni o timori, anzi. Martedì 15 la prima scadenza, il voto del Parlamento britannico sull’accordo raggiunto da Theresa May con Bruxelles sulla Brexit. È un voto talmente incerto che potrebbe persino saltare all’ultimo minuto. È persino possibile che la May riesca a superarlo con l’aiuto dell’opposizione laburista di Jeremy Corbyn pur avendo contro una bella fetta del suo partito conservatore. Si votano due documenti, l’accordo di separazione vero e proprio, che è legalmente vincolante, e un documento politico, che indica le linee per i futuri rapporti con l’Europa dopo l’uscita. Se si arriva al 29 marzo senza un voto del Parlamento di Londra si va alla hard, o alla crash se preferiamo, Brexit. Ma neppure questo è detto. La Corte di Giustizia europea ha lasciato una porticina socchiusa ai britannici, possono ritirarsi unilateralmente dall’articolo 50, quello che hanno invocato dopo il referendum per uscire dall’Unione.

LA GUERRA DEI DAZI SI INTRECCIA CON LE TRIMESTRALI


Un mese e mezzo dopo, il primo marzo, arriva al pettine il secondo nodo che tiene il mondo col fiato sospeso. Scade il termine della tregua dei dazi tra USA e Cina e, senza un accordo, scatta un rialzo dal 10% al 25% delle tariffe su beni cinesi per 200 mld importati in USA. I commenti che finora arrivano dalle due parti sedute al negoziato sono positivi, e tutto sommato il percorso sembra molto meno accidentato rispetto a quello su cui sta camminando la Brexit. In mezzo tra i due appuntamenti c’è la stagione delle trimestrali, prima americane e poi europee. Le attese sono per il quinto trimestre consecutivo di crescita a due cifre per le società dello S&P 500, ma poco sopra il 10%, mentre il rapporto prezzi/utili a 12 mesi viaggia poco sopra le 15 volte, sotto la media degli ultimi 5 anni ma sopra quella a 10 anni. Più che i numeri attuali, gli occhi di tutti saranno per la guidance e per i possibili warning, anche questi strettamente collegati all’andamento delle trattative commerciali con la Cina. Un rallentamento è atteso e scontato, la domanda è quanto sia già prezzato in quotazioni di titoli che dai massimi di inizio ottobre hanno già subito perdite vicine al 20%.

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LA SVOLTA DEI TASSI REALI POSITIVI


E poi c’è la Fed, che si sta avvicinando, ma in pratica lo ha già raggiunto, a un traguardo storico, quello di riportare dopo una decina d’anni i tassi di interessi reali sopra il livello dell’inflazione. Questo vuol dire, come ha sottolineato il recente outlook di SYZ Asset Management, che mantenersi liquidi sulle scadenze più brevi dei Treasury Bill non vuole più dire, come solo cinque-sei mesi fa, rassegnarsi a vedersi erodere capitale dall’inflazione. Per trovare un rendimento che compensi almeno in parte la crescita dei prezzi non bisognerà più andarsi a posizionare sui Treasury a 10 anni. Non è una buona notizia per i bond investment grade, ma lo è abbastanza per le azioni. Ma soprattutto, il ritorno a tassi reali ‘positivi’ vuol dire che non sarà più la banca centrale a ‘costringere’ in qualche modo gli investitori a cercare un minimo di rendimento in certe categorie di asset. Ora, almeno sul mercato americano, tutti gli asset sono uguali, compresa la liquidità, perché anche quest’ultima riesce a offrire protezione dall’inflazione. Vediamo se alla conferenza stampa che seguirà il FOMC del 29-30 gennaio, da cui non è attesa alcuna decisione sui tassi, Jerome Powell troverà il modo e le parole per ufficializzare l’arrivo della nuova era.

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NEI NUMERI DELLA FRENATA ECONOMICA CI SONO ANCHE LUCI


Infine ci sono le economie globali. I termini ‘rallentamento e frenata’ la fanno da padroni, accompagnati frequentemente dalla parola ‘recessione’. La Banca Mondiale ha limato le previsioni di crescita globale ad appena sotto il 3%. Lo stesso livello a cui la Fed di Atlanta colloca le stime di crescita americane nel quarto trimestre. In Europa è uscito qualche numero negativo, come lo scivolone della produzione industriale tedesca e italiana a novembre. Ma sempre in Germania l’ultimo scorcio del 2018 ha anche segnato un netto rimbalzo di attività nelle costruzioni. E se le sette settimane che ci separano da fine marzo ci regalassero una Brexit e lieto fine e uno ‘storico’ accordo commerciale tra americani e cinesi? Nessuno di questi due esiti è prezzato oggi, né dai mercati né dalle stime di crescita, e la spinta al rialzo, sia in termini di valutazioni che di fiducia, sarebbe notevole.

Attese & Mercati – Settimana dal 14 gennaio 2019


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BOTTOM LINE


Insomma, finalmente ci siamo. Tutto quello su cui ci siamo arrovellati nel 2018 comincia ad avvicinarsi al momento della verità e si capirà se gli scenari peggiori erano delle previsioni attendibili. Mercati ed economie si avviano a una serie di passaggi storici apparentemente senza stress, evidentemente lo hanno consumato tutto nel 2018 e ora possono guardare in faccia la realtà preparati ad accettarla.
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