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Putin guarda oltre il G20 di Osaka, vuol giocare alla pari con Trump e Xi

Lo Zar russo non rimpiange la Guerra Fredda, ma - dice - almeno aveva delle regole. E prova a mettersi in gioco in un mondo che i vari Wto, Onu, G20, Nato non riescono più a governare con il vecchio multilateralismo

di Redazione 1 Luglio 2019 09:38

Non è la prima volta che Vladimir Putin cerca di parlare direttamente alle classi dirigenti e alle opinioni pubbliche che contano in Occidente utilizzando i grandi media in lingua inglese. Lo fece ad esempio nel settembre del 2013 sulle colonne del NY Times per invitare gli americani alla cautela sulla Siria. Poi fu la volta della chilometrica intervista video in quattro parti rilasciata tra il 2015 e il 2017 a Oliver Stone. Questa volta, alla vigilia del G20 di Osaka, la scelta è caduta sul britannico Financial Times, a cui il presidente russo ha dichiarato in una lunga intervista che la vecchia Guerra Fredda era sicuramente “una brutta cosa” solo per aggiungere subito dopo che però “almeno c’erano delle regole a cui tutti i partecipanti più o meno aderivano e cercavano di seguire. Ora sembra che non ci sia più alcuna regola”. Lo Zar russo deve tutto alla fine della Guerra Fredda, se non fosse avvenuta forse sarebbe solo un alto ufficiale in pensione dei servizi segreti sovietici. Ma la sua nostalgia per lo status di superpotenza globale incontrastata insieme agli Stati Uniti è comprensibile, anche per gli sforzi che da vent’anni sta facendo, non senza successi, per ripristinarlo.

IL PETROLIO, FORZA MA ANCHE TALLONE D’ACHILLE DELLA RUSSIA


Ai tempi della Guerra Fredda l’Urss era una superpotenza militare che faceva paura agli americani non solo per il potenziale bellico, ma per la capacità di attrazione politica che esercitava su più di mezzo mondo grazie alla forza delle sue esportazioni, fatte non di beni e servizi, ma di ideologia socialista, comprata in abbondanza da gran parte dei Paesi arretrati e non ancora emergenti. Gli altri due punti di forza della vecchia Unione Sovietica erano un territorio sterminato, che la rendeva praticamente invincibile in caso di guerra di conquista tradizionale, e lo straordinario serbatoio di petrolio, gas e altre materie prime di ogni tipo custodite sotto il suolo delle lande desolate e poco abitate della Siberia. E fu proprio la dipendenza dalle vendite di petrolio per finanziare l’apparato militare a rivelarsi il tallone d’Achille. La caduta dei prezzi dall’area 60-120 dollari al barile della seconda metà degli anni '70 all’area 25-40 dollari della seconda metà degli anni '80, non si saprà mai quanto pilotata dagli americani ai tempi di Reagan, fu sicuramente una delle cause del collasso dell’Impero del Male.

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IL GRANDE PAESE COMUNISTA È  INDIFFERENTE ALLE IDEOLOGIE


Da quando è asceso al Cremlino nel 2000 Putin è stato protagonista di un’impresa immane, quella di aver preso in mano un gigante al tappeto in condizioni di disgregazione simili a quelle della ex Jugoslavia ed essere riuscito a rialzarlo al rango di potenza globale. Ma non una superpotenza paragonabile a quella della Guerra Fredda. Intanto perché sullo scacchiere globale si è messo a giocare la partita con gli americani un gigante più grande in termini di popolazione e produzione, con ambizioni di primato globale a livello economico e tecnologico, ovviamente la Cina. A Pechino continua a comandare un partito che si chiama comunista, ma i governanti cinesi sembrano del tutto indifferenti all’ideologia politica. A loro, come si dice da quelle parti, interessa che il gatto mangi i topi, poi se il felino sia bianco, rosso o nero importa poco. Al comunismo preferiscono esportare in tutto il mondo beni e servizi sempre più tecnologicamente avanzati, e nel mondo meno sviluppato si impossessano dei giacimenti di materie prime e non delle convinzioni politiche delle popolazioni.

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UNA NUOVA YALTA CON PUTIN NEI PANNI DI CHURCHILL?


A Putin piacerebbe sedersi al tavolo con Trump e Xi per scrivere le regole del nuovo ordine mondiale, magari interpretando a questa Yalta immaginaria la parte di Churchill invece che quella di Stalin. Tutto sommato la Russia ha i territori e le risorse in Asia ma le teste e la cultura in Europa. Lo Zar può offrire un ruolo di garante per fare in modo che le varie teste calde in giro per il mondo, da ‘rocket man’ Kim agli Ayatollah iraniani, fino al venezuelano Maduro non si scaldino troppo, a patto che non si tentino esperimenti da apprendista stregone, come la sciagurata primavera araba incoraggiata da Obama nel 2011. In cambio gli piacerebbe che gli venisse garantita una zona di influenza, come quella ottenuta in Est Europa da Stalin nel 1945, sulla mezzaluna che va dall’Ucraina all’Iran con qualche propaggine in Sud America e un affaccio sul Mar del Giappone. All’inizio degli anni '70 Nixon e Kissinger si giocarono la carta cinese per trovare una sponda all’interno del fronte comunista da usare nel confronto con l’Urss.

Bottom line


La Guerra dei Dazi e l’avvitamento della globalizzazione seguito alla Grande Crisi dimostrano che il multilateralismo basato su WTO, Onu, G20, accordi commerciali transpacifici e transatlantici non funziona più. Come non funzionano più i cardini della Difesa dell’ordine globale come la Nato, vedi il caso della Turchia. Trump è il presidente americano che somiglia di più a Nixon, ma non dispone della testa di uno stregone della diplomazia come Kissinger. Da tutto questo l’Europa è assente, troppo intenta a guardarsi l’ombelico.
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