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L'analisi

Neuberger Berman: lo shock della guerra si aggiunge a quello da inflazione e può durare a lungo

Neuberger Berman, nelle prospettive settimanali del CIO di Joseph V. Amato, sottolinea che la crisi ucraina amplifica i problemi legati a tassi e inflazione e ricorda gli effetti di lunga durata della crisi arabo-israeliana

di Virgilio Chelli 24 Marzo 2022 07:50
financialounge -  inflazione Joseph V. Amato Neuberger Berman

Gli investitori sembra stiano tornando a concentrarsi sui timori prebellici legati ai fondamentali, scoprendo però che la guerra in Ucraina non ha fatto altro che amplificarli. Probabilmente l’evento geopolitico che ha più inciso sull’andamento dello S&P 500 è stata la guerra arabo-israeliana del 1973, con le perdite iniziali sono rientrate nel giro di una settimana, ma un anno dopo l’indice era giù del 40% per effetto dell’embargo petrolifero e un’estrema stagflazione. Alla fine, le forze rilevanti per i mercati sono quelle strutturali. La guerra in Europa ha messo in secondo un’inflazione USA al 7,9%, ma ciò che plasmerà i mercati nei prossimi 12-18 mesi saranno gli effetti inflazionistici della guerra e le decisioni di politica monetaria. Prima della guerra la volatilità era causata da inflazione e aumento dei tassi. Ora la volatilità è destinata a perdurare anche dopo che Russia e Ucraina avranno deposto le armi.

GEOPOLITICA STORICAMENTE IGNORATA


Lo sostiene Neuberger Berman nelle prospettive settimanali del CIO firmate da Joseph V. Amato, President and Chief Investment Officer—Equities, secondo cui la volatilità persiste, ma è ora accompagnata da un ritorno alle dinamiche associate ai timori prebellici su inflazione e tassi, con i futures sui Fed Fund che scontano al momento sette rialzi dei tassi nel 2022 e le azioni growth con duration elevata tornate a sottoperformare. Questo ritorno dell’attenzione sui fondamentali, sottolinea Amato, è tutt’altro che inconsueto. Storicamente i mercati hanno spesso ignorato gli eventi geopolitici, e perfino le perdite più elevate all’indomani dell’attacco di Pearl Harbor sono state recuperate in meno di un anno.

MERCATO CONCENTRATO SUI TIMORI PRE-BELLICI


Amato sottolinea che oggi il mercato è tornato a concentrarsi sui timori prebellici per due fattori. Il primo è una Bce che nonostante la guerra rimane preoccupata più per l’inflazione e intende accelerare il tapering mentre la Fed fa partire con parole aggressive il ciclo dei rialzi. Il secondo fattore è la crescente sensazione che il conflitto sia arrivato a un punto morto, che una svolta richieda mesi e che la situazione potrebbe peggiorare. Una risoluzione potrebbe ridurre il rischio di escalation catastrofica rimuovendo dai mercati una porzione del rischio economico.

IMPLICAZIONI PROFONDE E DURATURE


Ma, sottolinea Amato, le profonde e durature implicazioni dell’invasione potrebbero lasciarsi dietro rischi residui che dovranno essere valutati dal mercato. È inoltre probabile, secondo l’esperto di Neuberger Berman, che la più importante conseguenza economica del conflitto sia l’inasprimento delle pressioni inflazionistiche prebelliche. Le carenze di grano e fertilizzanti potrebbero rappresentare un problema, ma il principale meccanismo di trasmissione degli effetti della crisi all’economia continua a essere il prezzo dell’energia. L’Agenzia internazionale per l’energia avverte che l’invasione “potrebbe provocare la peggiore crisi dell’offerta degli ultimi decenni”.

AUMENTO DI TENSIONE A LUNGO TERMINE


Il quadro a lungo termine resta di aumento della tensione, in un mondo in cui, secondo l’AIE, le scorte di petrolio dei Paesi OCSE erano già ai minimi da otto anni. Il 20% del petrolio importato dalla UE è russo e continua a scorrere per i contratti stipulati prima dell’invasione, ma i nuovi affari sono praticamente fermi con il rischio di azzerare da aprile i tre milioni di barili al giorno di forniture dalla Russia. Finora l’Arabia Saudita ha reagito lentamente poiché intende attenersi al l di produzione dell’OPEC+. L’Iran potrebbe aumentare la produzione, ma dipende dai colloqui attualmente in corso sul nucleare.

RITORNO A CLIMA DA GUERRA FREDDA


Anche le altre conseguenze a lungo termine della crisi sembrano ad Amato di tipo inflazionistico, come il probabile un aumento delle spese militari in Europa. La Russia inoltre è un’importante fonte dei metalli essenziali per la transizione verso zero emissioni, che rappresentava già un trend inflazionistico e che la guerra ha reso ancor più urgente. Un ritorno a un clima da guerra fredda, sottolinea in conclusione l’esperto di Neuberger Berman, potrebbe accelerare il trend in corso di localizzazione delle catene di approvvigionamento e de-globalizzazione dei mercati.
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