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Wall Street, ecco perché il ''segnalatore di bolla'' di Buffett ha fatto il suo tempo

Invesco analizza l’indicatore che usa il rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL per determinare se il mercato è sopravvalutato per giungere alla conclusione che si tratta ormai di uno strumento impreciso

di Virgilio Chelli 19 Febbraio 2021 07:50
financialounge -  azioni Invesco John Greenwood Morning News Wall Street Warren Buffett

All'inizio di gennaio 2021 l'indicatore ideato dal leggendario investitore Warren Buffett, che stabilisce un rapporto tra capitalizzazione di mercato azionario e PIL per stabilire se le quotazioni sono eccessive, ha raggiunto il livello più alto in 13 anni, spingendo alcuni osservatori a concludere che Wall Street è la borsa più sopravvalutata dai tempi della crisi finanziaria globale. Il Buffett indicator aveva toccato i massimi precedenti subito prima del crollo del 2008 e in occasione la bolla tecnologica del 2000, quando aveva toccato il 210% e il 188% del PIL degli Stati Uniti, rispettivamente.

UN METODO PIUTTOSTO ROZZO


Il capo economista di Invesco John Greenwood e il senior economist Adam Burton hanno analizzato l'affidabilità dell'indicatore per rivelrne diversi problemi con questo indicatore. Il Buffett Indicator è basato sul rapporto tra capitalizzazione di mercato e PIL misurando il valore totale di tutti i titoli quotati in Borsa negli Stati Uniti diviso per il prodotto interno lordo. Come forma di multiplo di valutazione per un intero paese è certamente un modo semplice per confrontare il valore aggregato di tutte le azioni con la produzione totale di riccehzza di un paese. Ma, secondo gli economisti Invesco, è anche piuttosto rozzo e difettoso sotto vari aspetti.

UN PARAGONE DI MELE E PERE


In primo luogo i due esperti osservano molte azioni quotate negli Stati Uniti sono in realtà società globali che generano ricavi e profitti in tutto il mondo. Per questo, il confronto tra la capitalizzazione delle azioni statunitensi e il PIL nominale degli Stati Uniti è un paragone di mele con pere. In secondo luogo gli economisti di Invesco si chiedono se abbia senso concentrarsi solo sulla parte azionaria della struttura del capitale e omettere altre forme di attività finanziarie come obbligazioni o altre forme di debito. Attualmente, tassi e rendimenti estremamente bassi spingono gli investitori a preferire azioni o liquidità, per cui sarebbe quindi più appropriato confrontare i valori delle attività totali, e non quelli delle azioni, con il PIL nominale.

DIVERSE VELOCITÀ DI CRESCITA


Inoltre, secondo Greenwood e Burton, ci si dovrebbe aspettare che il valore totale delle attività aumenti rispetto al reddito nel medio-lungo termine. La loro analisi mostra che la moneta in generale e il totale delle attività crescono all'incirca allo stesso tasso, mentre il PIL nominale e gli utili aziendali crescono anch'essi a tassi simili, ma inferiori. Negli Stati Uniti il valore della moneta in senso lato e del totale delle attività sono cresciuti a tassi annualizzati del 7,2% e del 7,1%, rispettivamente, dal 1950, mentre il PIL nominale e i profitti aziendali sono cresciuti entrambi a un tasso annualizzato del 6,3% nello stesso periodo.

UNO STRUMENTO IMPRECISO


In tutte le principali economie il rapporto tra moneta e attività totali rimane abbastanza stabile, riassumono gli economisti Invesco, sottolineando che i valori delle azioni possono variare come quota del patrimonio totale a seconda della situazione finanziaria, ma il reddito nazionale non è il confronto appropriato per valutare il mercato azionario. Pertanto, concludono i due esperti di Invesco, l'indicatore di Buffett è uno strumento di valutazione impreciso che implica falsamente che le valutazioni delle attività debbano allinearsi a un rapporto medio con il PIL nominale mentre in realtà aumentano chiaramente nel tempo.
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