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Spagna: il nuovo governo ancora appeso agli indipendentisti

Il sofferto accordo tra il Partito Socialista Operaio Spagnolo e Unidas Podemos sembrava aver aperto la strada alla creazione del nuovo governo, ma i numeri non sono sufficienti per Pedro Sánchez che ha bisogno dell’appoggio di altre forze

di Mauro Speranza, corrispondente da Madrid per Investing.com 27 Novembre 2019 11:58
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Erano bastati solo due giorni per trovare l’accordo tra i due principali partiti della sinistra spagnola, il Partito Socialista e Unidas Podemos, dopo le elezioni politiche del 10 novembre, rendendo realtà quello che risultò impossibile alla fine di cinque mesi di trattative.
Il socialista Pedro Sánchez e il segretario generale di Unidas Podemos, Pablo Iglesias, avevano annunciato in pompa magna già il 12 novembre il ritrovato feeling, prospettando la creazione di un governo che, per la prima volta in Spagna, potrebbe vedere ministri appartenenti a più partiti, contrariamente alla tradizione iberica dei governi ‘monocolore’.

UN ACCORDO DI GOVERNO INSUFFICIENTE


I risultati elettorali di novembre hanno consegnato un parlamento diviso, specchio del sistema politico spagnolo ormai lontano dallo storico bipolarismo PP-PSOE. La maggioranza dei seggi alla Camera non verrebbe raggiunta dalla coalizione formata dai due partiti ‘freschi’ di accordo, PSOE e Podemos, in quanto la somma di 155 parlamentari non riesce a raggiungere quota 176, quota minima per ricevere la fiducia, nemmeno aggiungendo i 3 voti della nuova forza politica ‘Más Pais’.

UNA DIFFICILE IPOTESI INDIPENDENTISTA


Per raggiungere la maggioranza necessaria per ottenere la fiducia, i due partiti maggiori dovranno, dunque, cercare intese con altre forze politiche. La trattativa in corso coinvolge ‘Esquerra Republicana de Catalunya (ERC)’, un partito che ha ottenuto 13 seggi parlamentari grazie una percentuale di voti tra il 20% e il 30% ottenuti nella sola regione.
Si tratta di una delle numerose forze indipendentiste presenti in Catalogna, recentemente passata in testa per voti tra i partiti che chiedono la secessione della regione di Barcellona.
Tra le più moderate tra gli indipendentisti, ERC ha aperto ad una trattativa che potrebbe portare ad un voto di astensione verso il nuovo governo.

PREZZO DA PAGARE


Il prezzo da pagare per questa ‘luce verde’ all’astensione è stato fissato da presidente di ERC, Oriol Junqueras, in una intervista rilasciato per iscritto direttamente dal carcere di Lledoners, dove sta scontando 13 anni di carcere per il delitto di sedizione a cui era stato recentemente condannato per i fatti risalenti al referendum del 2017 sull’indipendenza della Catalogna.
Secondo Junqueras, ERC dovrebbe votare contro il nuovo governo, a meno che “non ci sia un tavolo di negoziazione per risolvere il conflitto tra la Catalogna e la Spagna”. Condizioni che sono state approvate in un referendum da parte degli iscritti al partito, dando il via libera ufficiale alle trattative per il governo.

IL TAVOLO DELLE TRATTATIVE


“Fuori dalla costituzione niente, dentro la costituzione tutto”. Si tratta del ‘mantra’ ripetuto in questi mesi dal Partito Socialista circa i temi su cui intende portare avanti la trattativa con gli indipendentisti. La costituzione spagnola, così come quella italiana, vieta la dissoluzione dell’unità del paese, argomento alla base del rifiuto dei vari governi a concedere un referendum sull’indipendenza della Catalogna. Quello ‘celebrato’ nel 2017, infatti, non aveva alcun valore legale e portò alla condanna di alcuni leader indipendentisti.
Tolto di mezzo l’argomento secessione, dunque, il tavolo vedrà al centro delle trattative altri elementi, vista anche l’apertura di ERC a mettere da parte la ‘spinosa’ questione dell’indipendenza.

L’IMPATTO DEGLI INDIPENDENTISTI SUI GOVERNI


Storicamente, i governi spagnoli che non riuscivano ad avere una maggioranza in Parlamento si sono spesso rivolti verso le forze indipendentiste catalane, pagando sempre ‘cambiali’ in termini di poteri delegati e finanziamenti concessi, rendendo la Catalogna una tra le regioni con più poteri al mondo.
Nel corso del tempo, questi accordi erano stati fatti sia da governi di destra come quelli di José María Aznar e di Mariano Rajoy, sia da quelli di sinistra, a partire da Felipe González, passando attraverso José Zapatero, fino, appunto, al tentativo in corso.


L’ITALIANIZZAZIONE DELLA POLITICA SPAGNOLA


Dopo la fine della dittatura arrivata nel 1975 con la morte di Francisco Franco, il sistema politico spagnolo si era caratterizzato per un sostanziale bipartitismo tra il Partito Polare e il Partito Socialista. Il sistema si è progressivamente frammentato, non soltanto con l’emergere di forze nazionaliste locali appartenenti non solo alla Catalogna, ma sono emersi nuovi attori con diverse collocazioni politiche.
A destra la storica formazione cattolica è stata raggiunta da Vox, forza emergente negli ultimi due anni. Inoltre, la ‘virata a destra’ di Ciudadanos degli ultimi mesi, ha creato un blocco la cui sconfitta alle scorse elezioni non sembra aver ridotto la sua importanza, vista la poca differenza di voti con l’altro schieramento.

SPAGNA CONDANNATA ALL'INSTABILITÀ POLITICA


Dall’altra parte, l’arrivo di Unidas Podemos, forza di sinistra ‘radicale’, ha portato ad un aumento della frammentazione, soprattutto dopo che alle ultime elezioni c’è stato l’esordio di ‘Más Pais’, nata da una costola della stessa Podemos.
Un sistema apparentemente bipolare, per certi versi simili ad alcune stagioni politiche in Italia, formato però da forze politiche meno abituate al ‘compromesso’ rispetto a quello italiano. Se aggiungiamo l’importanza delle numerose forze nazionaliste sparse per il paese, la Spagna sembra ‘condannata’ ad una instabilità politica che non ha niente da invidiare a quella della nostra penisola.
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