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Allineamenti anomali dei mercati: timori recessione, ma Usa e Cina vanno

Il Pil Usa avanza del 3,2% ma non convince tutti. Intanto i prezzi di petrolio e dollaro, azioni e T-bond si muovono allineati in modo anomalo. Sulla crescita globale pesa un’Europa rimasta senza benzina.

di Redazione 29 Aprile 2019 10:45

Allora, le prime due economie del mondo, Stati Uniti e Cina, crescono rispettivamente di oltre il 3% e di oltre il 6%. La terza, il Giappone, è ferma, così come la quarta, la Germania, insieme al resto dell’Eurozona. La settima, quella indiana, viaggia oltre il 7%. In Europa e in Giappone, giustamente, le autorità continuano a somministrare dosi massicce di stimolo monetario. Ma anche Washington e Pechino ritengono che la ripresa abbia bisogno di una politica molto accomodante, fatta di tassi reali della Fed poco sopra zero nel primo caso e di stimoli fiscali e creditizi nel secondo. Nella lista dei principali rischi che corre l’economia globale formulati da istituzioni ed economisti non troviamo praticamente da nessuna parte quello di un surriscaldamento accompagnato da ripresa dell’inflazione, che potrebbe cogliere le banche centrali in contropiede, mentre incontriamo quasi sempre la parola recessione, con molti che si esercitano a prevedere non se, ma quando arriverà. Al centro dell’attenzione ovviamente l’economia americana, nonostante i dati continuino a sorprendere al rialzo, ultimo quello di un Pil cresciuto del 3,2 % nel primo trimestre. Una sorpresa soprattutto se messa in prospettiva. Ancora a febbraio le previsioni, compresa quella autorevole di Gdp Now della Fed di Atlanta, puntavano a una crescita poco sopra lo zero, poi ritoccata via via al rialzo fino al 2,5-2,7% nei giorni immediatamente precedenti il rilascio del dato venerdì 26 aprile.

I DATI SI PRESTANO A LETTURE DIVERGENTI


Quanto sia contrastata la lettura dei dati lo mostrano i due resoconti del Pil americano di Reuters e Wsj. Per la grande agenzia il 3,2% è il risultato di ‘spinte temporanee’ come export e scorte, ma le prospettive sono di debolezza soprattutto perché i consumi sono cresciuti solo dell’1,2%. Secondo il giornale di Wall Street al contrario sono proprio i consumi, definiti ‘in gran forma’ la molla compressa che sosterrà la crescita nei prossimi trimestri anche perché dopo una partenza d’anno debole le vendite al dettaglio sono rimbalzate a marzo. L’inflazione comunque non sembra preoccupare nessuno, continua a restare poco sotto il target del 2% della Fed anche se la componente salariale negli ultimi mesi ha accelerato. E’ probabile che il dato del Pil abbia fatto inarcare di sorpresa qualche sopracciglio dalle parti della Federal Reserve, che a fine dicembre si è messa in pausa sui tassi proprio per timori di rallentamento economico globale e ha poi annunciato che metterà fine tra qualche mese anche al Quantitative Tightening, il meccanismo per cui drena liquidità non rinnovando a scadenza i titoli accumulati negli anni del Quantitative Easing.

GLI ANDAMENTI ANOMALI DI DOLLARO E PETROLIO


Se continua a pensarla così lo sapremo presto, martedì 30 comincia la due giorni mensile del Fomc che si concluderà la sera di mercoledì primo maggio. Nessuno si aspetta una mossa sui tassi ma sicuramente qualche aggiustamento della lettura del quadro macro ci sarà. Intanto, nonostante una Fed colomba e paziente, il dollaro continua a rafforzarsi, non solo contro euro. Il Dyx, l’indice che misura la forza del biglietto verde rispetto alle principali valute, viaggia a 97,5. Un anno fa era poco sopra 91. E qui abbiamo un altro bel rebus da decifrare per analisti e economisti. Perché viaggia con decisione verso Nord anche il prezzo del petrolio, con il Brent che dai minimi di $50 di fine dicembre verso fine aprile si è portato fino a $75, anche se negli ultimi due giorni della scorsa settimana ha corretto al ribasso di circa il 5%. La correlazione tra i due prezzi è abbastanza rara e quando succede è temporanea. Un dollaro forte dovrebbe calmierare il prezzo del petrolio, non accompagnarne il rialzo. Un rebus simile riguarda l’andamento di T-bond e azioni di Wall Street, di solito se uno sale (parliamo di prezzi non di rendimenti) l’altro scende. Da inizio anno vanno tutti e due verso Nord.

LA BENZINA CHE HA IN PIU’ NEL MOTORE L’AMERICA


La forza dell’economia americana e la tenuta di quella cinese, insieme al risveglio delle economie emergenti, dovrebbero aiutare l’Europa a risollevarsi. Ma l’economia europea è anche molto grande, come mercato di consumatori il più grande del mondo, e se continua a non crescere e magari entra in recessione potrebbe tirarsi dietro anche le altre. Tra le molte marce in più dell’economia americana rispetto all’Europa c’è un costo del carburante di tre quarti più basso. Un gallone di gasoline costa intorno ai $2,4, un litro di benzina in Europa intorno a 1,6 euro, con punte a 2 come in Italia. Convertiti i galloni in litri e i dollari in euro, la benzina (che per gli americani oggi è storicamente cara) a prezzi USA vorrebbe dire in Europa il pieno a 50 centesimi il litro. Il mare che c’è tra i due prezzi è fatto di un fisco europeo vorace che con le accise si mangia più di due terzi del prezzo. Immaginiamo l’effetto Viagra che avrebbe sull’economia europea una benzina a 50 centesimi da un giorno all’altro!

Recessione Usa in vista, ma una Fed accorta può evitarla


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BOTTOM LINE


Forse non è il prezzo della benzina la ricetta magica per far ripartire l’Europa addormentata. Ma è il tipo di shock di cui ci sarebbe bisogno per far capire, da parte di una classe politica dotata ancora di un minimo di contatto con il mondo produttivo, che si è deciso di voltare pagina e giocarsi tutto sulla ripresa. Finora l'unica benzina a basso costo nel sistema economico ce l’ha messa Mario Draghi, che tra 6 mesi passa la mano.
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