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Brexit

Europa in ordine sparso verso l'annus horribilis

Nel 2019 l'elezione del nuovo Parlamento e l'uscita di Draghi potrebbero far traballare dalle fondamenta la cattedrale dell'Unione. Intanto Trump si prepara al divide et impera, ma a Bruxelles non conviene fargli la guerra.

12 Marzo 2018 09:10
financialounge -  Brexit donald Trump Europa Mario Draghi Unione europea Weekly Bulletin

La metafora cui si è fatto molte volte ricorso negli anni per indicare il percorso di costruzione dell’Unione europea è quella della cattedrale. A seconda dei gusti, si può interpretare come un cantiere aperto che non riesce mai a completare i lavori, come la Fabbrica del Duomo se si è milanesi o quella di San Pietro se si è romani, oppure come un monumento mirabile che esprime allo stesso tempo una fede comune, quella nell’Europa unita, e un’architettura politica che riesce a interpretarla con una perfezione che svetta su tutte le altre costruzioni, come la Cattedrale di Reims per capirci.

UNA STORIA LUNGA MILLE ANNI


Non è la prima volta che in Europa si prova a costruire cattedrali politiche basate sulla fede comune. L’esempio storico meglio riuscito è indubbiamente il Sacro Romano Impero, nato nella notte di Natale dell’anno 800 con l’incoronazione di Carlo Magno da parte di papa Leone III e dissolto quasi esattamente mille anni dopo, nel 1806, quando Napoleone sbaraglia ad Austerlitz le armate dell’ultimo imperatore. In realtà l’impero era finito già da 250 anni, esattamente da quando l’imperatore Carlo V con la pace di Augusta del 1555 metteva temporaneamente fine ai conflitti tra cattolici e protestanti in Europa, ma a prezzo dell’abbandono del principio della fede comune, quella cattolica romana, stabilendo il principio del ‘cuius regio eius religio’ praticamente fede cattolica o luterana a seconda di quella di chi comanda nel paese dove vivi. Insieme alla fede comune, anche l’architettura politica comune andò a farsi benedire, trasformando l’impero da romano in austro-germanico.

ALBIONE COLPISCE SEMPRE PER PRIMA


Abbiamo provato in altre occasioni a vedere se la storia ci racconta qualcosa sui tempi nostri, o almeno se ce la suggerisce in rima. Nell’Europa di oggi quello che si sta dissolvendo è l’architettura politica, mentre la fede resta apparentemente salda con professioni di europeismo di quasi tutti i partiti e i governi dell’Unione e i riti celebrati a Bruxelles e nelle altre capitali della religione europea. Il primo colpo all’architettura politica l’hanno dato i britannici con il voto di quasi 2 anni fa, guarda caso gli stessi che nel 1534 si staccarono dalla chiesa di Roma per consentire a Enrico VIII di divorziare dalla prima moglie.

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LE SCOMUNICHE DI BRUXELLES


Oggi la liturgia di Bruxelles prevede di bollare e scomunicare come populismo tutte le spinte centrifughe, che a Sud e soprattutto a Est prendono forza. Mentre dall’altra parte dell’Atlantico c’è un imperatore che potrebbe avere tutto l’interesse ad accelerarle. Le ultime sulla guerra dei dazi aperta da Trump ci dicono che Washington li applicherà caso per caso, distinguendo tra amici e non. Anche in Europa. Ma questo mina alla base l’architettura della cattedrale. In materia di commercio, polacchi ed irlandesi, francesi ed italiani non possono parlare con voci diverse, devono far parlare e negoziare solo Bruxelles. Quella di Trump potrebbe essere solo la prima mossa di una strategia a 360°, prima l’acciaio e l’alluminio, poi le auto, poi i prodotti agricoli, e via dicendo.

DIVIDE ET IMPERA


Sicuramente una strategia molto più pericolosa per l’Unione europea che per Trump. Quanti governi e quante nazioni, stanchi di essere messi dietro la lavagna da Bruxelles per avere fatto male i conti, potrebbero essere tentati di negoziare direttamente con l’Imperatore che sta a Washington accordi di scambio bilaterali? Con ogni probabilità la Commissione a trazione tedesca reagirebbe usando sempre più bastone e sempre meno carota, esacerbando se ce ne fosse bisogno l’insofferenza verso l’Europa che cova in tanti paesi. Qualcosa del genere è già successo con Basilea IV, come abbiamo scritto nel Caffè Scorretto dell’11 dicembre scorso, quando banchieri centrali e vigilanti dei principali paesi decisero che sul nuovo set di regole bancarie ognuno avrebbe potuto fare più o meno a modo suo. Anche in quel caso la regola di Carlo V. Ma non erano in ballo i principi fondanti dell’UE. Ora il rischio è che Trump possa fare cherry-picking in Europa, premiando i bravi e punendo i cattivi.

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L’ANNO CHE STA ARRIVANDO


Il tutto mentre si avvicina quello che potrebbe essere definito l’annus horribilis dell’Europa, il 2019, quando due eventi cruciali, le elezioni del Parlamento di Strasburgo in primavera e la successione di Mario Draghi alla guida della BCE potrebbero far traballare la cattedrale dalle fondamenta. Immaginiamo un worst-case. Che nel nuovo Parlamento gli euroscettici, anche se frammentati in tanti partiti e tante nazionalità e non organizzati sotto un’unica bandiera, escano come la prima forza politica. Tra parentesi, se a quella data i negoziati sulla Brexit non sono finiti che succede? Avremo deputati di un paese che ha votato l’uscita dall’Unione? Chiusa parentesi. E immaginiamo che qualche mese dopo il capo della Buba Jens Weidmann, o un suo clone, prenda il posto di SuperMario. E magari alzi brutalmente i tassi alla prima occasione, che potrebbe cadere nella prima metà di dicembre 2019. Di certo i mercati non starebbero a guardare come hanno fatto con le elezioni italiane.

BOTTOM LINE


Di solito gli imperatori dividono e imperano non per distruggere, ma per trarre il massimo vantaggio dalla propria posizione di forza relativa. E l’ultima cosa che conviene agli americani, chiunque sia l’imperatore, è un’Europa che sprofonda nel caos politico e nella recessione economica. Non foss’altro, perché è il primo mercato di sbocco delle sue tecnologie e della sua finanza. Ed è anche in qualche modo la sua frontiera a Est, dove c’è un altro imperatore, anzi Zar, pronto a cogliere tutte le occasioni per allargarsi. I sacerdoti dell’europeismo di Bruxelles dovranno probabilmente rassegnarsi. Devono rimettere al più presto insieme i cocci e ritrovare l’unità, ma per andare d’accordo con l’America, non per fargli la guerra ideologica e commerciale.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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