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Correzione nell’azionario USA, i fondamentali non c’entrano

Nei giorni scorsi, complici le maggiori aspettative di inflazione, l’azionario USA ha registrato una brusca correzione: ecco perché ciò non è dipeso dai fondamentali.

7 Febbraio 2018 16:18

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Il sell-off sui mercati azionari, ovvero la vendita di titoli senza limitazione di quantità e di prezzo, che è stato registrato nei primi giorni di febbraio ha spaventato gli investitori. Tuttavia, secondo Nadège Dufossé, CFA, Head of Asset Allocation di Candriam Investors Group, non sono emersi motivi legati ai fondamentali economici e finanziari tali da giustificare tale correzione: si è trattato, invece, di un sell-off tecnico, come dimostrato dal calo dei rendimenti obbligazionari durante la correzione degli indici azionari, risultato di una vendita sistematica e dal riacquisto di consistenti posizioni corte (ribassiste) sull’indice di volatilità (Vix), che è infatti schizzato vicino ai 50 punti.

L’esperta si aspetta che il cosiddetto contesto di Goldilocks (crescita diffusa a livello globale, inflazione in aumento ma senza eccessi e rialzo graduale dei tassi) possa prevalere per tutto il 2018, in virtù dei fondamentali che continueranno a fornire sostegno ai mercati.

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“Le azioni sono diventate ancora più interessanti dopo la recente correzione. L’azionario USA scambia, attualmente, ad un rapporto prezzo / utili (p/e) prospettico 2018 (in base cioè agli utili attesi per quest’anno) di 17, mentre appena una settimana fa lo stesso rapporto si attestava ancora al di sopra delle 20 volte” spiega Nadège Dufossé, convinta che a sostenere le performance dei mercati azionari contribuiranno i profitti aziendali che dovrebbero registrare ulteriori rialzi. Certo non è affatto da escludere una seconda ondata di vendite sistemiche, ma Nadège Dufossé attende “una stabilizzazione delle dinamiche di mercato e di un momento propizio per incrementare ulteriormente l’esposizione sull’azionario”.

Detto questo, Nadège Dufossé delinea tre possibili scenari per gli USA per il 2018-2019. Il primo, a cui attribuisce il 60% di probabilità, è definito lo ‘scenario principale’ e si basa sul fatto che il mercato obbligazionario si adatti rapidamente a tre rialzi dei tassi per quest’anno e altri tre per il 2019 da parte della Fed.

Uno scenario nel quale i rendimenti dei Treasury USA a 10 anni si attesterebbero al 3 per cento nel 2018: in pratica, una crescita in sintonia con l’aumento del valore dei titoli azionari. Il secondo scenario, al quale l’esperta assegna un 15% di probabilità, è invece quello in cui si materializzano sia un’accelerazione degli investimenti delle imprese che una contestuale ripresa della produttività. Infatti, grazie alla riforma fiscale, le imprese statunitensi incrementano il budget per gli investimenti (+10% sia nel 2018 che nel 2019).

Uno scenario nel quale l’inflazione rimane contenuta, la Fed continua nel suo percorso di normalizzazione dei tassi. L’aumento dei tassi a lungo termine procede contestualmente all’incremento del tasso di crescita potenziale, senza provocare un rallentamento dell’economia. Il tutto mentre l’azionario USA può continuare a crescere, anche grazie a un incremento degli utili. Infine, e siamo al terzo scenario - al quale Nadège Dufossé attribuisce una probabilità del 25%- è quello in cui il timore di un’inflazione superiore alle aspettative provoca un significativo rialzo dei tassi di interesse di lungo termine, causando così un calo del mercato azionario. Un timore, secondo l’esperta, che potrebbe scattare non tanto sui dati effettivi dei prezzi al consumo, quanto piuttosto sulle aspettative inflazionistiche.

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Restando in tema di inflazione, Nadège Dufossé si sente di tranquillizzare gli investitori sull’Eurozona. “Rispetto alla situazione negli Stati Uniti, nell’Eurozona il contesto appare diverso. È infatti probabile che i prezzi al consumo tendano a convergere molto gradualmente verso l’obiettivo del 2% fissato dalla BCE. I dati pubblicati nel mese di gennaio, con l’indice annuale dei prezzi al consumo che è sceso all’1,3% (e quello core all’1%), hanno confermato un trend inflazionistico debole. Inoltre, il rafforzamento dell’euro negli ultimi 12 mesi sta allentando ulteriormente le tensioni” conclude Nadège Dufossé.

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