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L’onda d’urto della Brexit si fa sentire in Africa

6 Luglio 2016 09:05
financialounge -  Africa Brexit Nigeria sudafrica
Appena due mesi fa un report di McKinsey pubblicato sul sito del World Economic Forum affermava che oggi, “nonostante il collasso globale delle commodity e gli shock politici in Nord Africa, i leoni economici africani sono in movimento verso la crescita”. Ma la Brexit potrebbe rovinare la festa, con onde d’urto che arrivano ben oltre i confini dell’Unione Europea.

I colpi più duri sono arrivati in Sudafrica, quarto partner commerciale ed ex colonia di Londra, dove il referendum è costato al rand uno scivolone dell’8% su attese di caduta delle esportazioni verso l’ex casa madre che potrebbe durare a lungo, se tra gli effetti dell’uscita ci fosse la prevista caduta dei consumi britannici.

In generale, gli analisti prevedono che se la Gran Bretagna dovesse davvero uscire dalle UE sarebbero ben 100 gli accordi commerciali da rinegoziare con paesi africani, accordi oggi firmati dalla Gran Bretagna come UE da convertire in accordi a due. E poi c’è il ruolo di Londra, tutto da verificare in caso di Brexit, come contributore dell’European Development Fund, con ben 585 milioni di dollari pari al 15% del totale, che va a finanziare molti progetti africani. Infine c’è l’immigrazione, che con la Brexit potrebbe diventare più difficile e magari creare un doppio binario, con una corsia preferenziale per i paesi africani ex Commonwealth.

Già a fine maggio il governatore della Banca Centrale del Kenya Patrick Njoroge aveva lanciato l’allarme sui rischi di Brexit per l’Africa, ad esempio quello di un Regno Unito meno interessato allo sviluppo globale e delle economie emergenti in particolare e più ripiegato su se stesso. Paese per paese, ciascun paese africano ha i suoi problemi di Brexit.

In Nigeria ad esempio, anche qui un’ex colonia, non c’è particolare allarme, ma gli scambi bilaterali ammontano comunque a 6 miliardi di sterline, proiettati a 20 miliardi fino al 2020, un livello che potrebbe diventare insostenibile, così come il ruolo di grande investitore finora svolto da Londra
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