banche centrali
Debito pubblico, se l’Italia replicasse l’esempio giapponese
13 Gennaio 2016 10:57

nni di recessione l’Italia nel 2015 è uscita dalla crisi. Tra i tanti aspetti positivi che si possono segnalare c’è anche l’aumento del tasso di risparmio delle famiglie. Un fenomeno che ha sollecitato l’attenzione di alcuni osservatori che si sono spinti a pensare che si potrebbe replicare in Italia quanto accade da decenni in Giappone: un paese il cui rapporto debito/PIL sfiora ormai il 250% ma che, al tempo stesso, può vantare un debito detenuto per oltre il 90% dai cittadini nipponici. Ma cosa potrebbe accadere se anche in Italia il debito pubblico finisse per il 90% e più in mano agli italiani?
La prima sostanziale differenza è che la banca centrale (cioè l’istituto che decide sui tassi di interesse e sull’euro) è europea e non italiana (a differenza della Bank of Japan). Tradotto in pratica, significa che, in un ipotetico scenario del debito pubblico italiano largamente di proprietà delle famiglie italiane, le dinamiche sui tassi della zona euro (compresa la stampa di nuova moneta) sarebbe sempre e comunque decisa da Francoforte e non da Roma. Premesso questo non secondario dettaglio ci sarebbero comunque alcuni vantaggi e altri svantaggi.
Tra i vantaggi, l’Italia si potrebbe permettere un debito pubblico ancora più alto sia in termini assoluti (cioè oltre il già enorme muro dei 2.200 miliardi di euro) che in percentuale al PIL. Tuttavia, se questo ci potrebbe tranquillizzare in termini di esposizione al possibile fallimento dello Stato, al tempo stesso pone seri interrogativi su come verrebbero impiegati i capitali dei nuovi debiti: non dimentichiamoci che l’attuale debito pubblico è esploso dopo gli anni ottanta a seguito di dissennate politiche economiche che invece di aumentare gli investimenti produttivi e strutturali hanno alimentato finanziamenti spesso clientelari.
Un altro vantaggio sarebbe quello di non essere esposti alle implicazioni di un rialzo dei tassi di interesse a medio lungo termine che prima o poi si materializzerà provocando un aumento degli interessi annui da pagare con tutto quello che ciò implica in tema di tasse e di tagli allo stato sociale.
Sul fronte degli svantaggi, invece, non potendo diversificare in altre asset class al di fuori dei titoli di stato italiano, le famiglie italiane dovrebbero accontentarsi di tassi di interesse all’osso. Non solo. Le dinamiche demografiche e il meccanismo di calcolo delle future pensioni pubbliche (rivalutazione annua in base alla media del pil italiano degli ultimi 5 anni) suggeriscono di alleggerire l’esposizione all’Italia e alla zona euro a favore delle aree più dinamiche ed emergenti del mondo e una focalizzazione sul debito italiano andrebbe invece nella direzione opposta.
La prima sostanziale differenza è che la banca centrale (cioè l’istituto che decide sui tassi di interesse e sull’euro) è europea e non italiana (a differenza della Bank of Japan). Tradotto in pratica, significa che, in un ipotetico scenario del debito pubblico italiano largamente di proprietà delle famiglie italiane, le dinamiche sui tassi della zona euro (compresa la stampa di nuova moneta) sarebbe sempre e comunque decisa da Francoforte e non da Roma. Premesso questo non secondario dettaglio ci sarebbero comunque alcuni vantaggi e altri svantaggi.
Tra i vantaggi, l’Italia si potrebbe permettere un debito pubblico ancora più alto sia in termini assoluti (cioè oltre il già enorme muro dei 2.200 miliardi di euro) che in percentuale al PIL. Tuttavia, se questo ci potrebbe tranquillizzare in termini di esposizione al possibile fallimento dello Stato, al tempo stesso pone seri interrogativi su come verrebbero impiegati i capitali dei nuovi debiti: non dimentichiamoci che l’attuale debito pubblico è esploso dopo gli anni ottanta a seguito di dissennate politiche economiche che invece di aumentare gli investimenti produttivi e strutturali hanno alimentato finanziamenti spesso clientelari.
Un altro vantaggio sarebbe quello di non essere esposti alle implicazioni di un rialzo dei tassi di interesse a medio lungo termine che prima o poi si materializzerà provocando un aumento degli interessi annui da pagare con tutto quello che ciò implica in tema di tasse e di tagli allo stato sociale.
Sul fronte degli svantaggi, invece, non potendo diversificare in altre asset class al di fuori dei titoli di stato italiano, le famiglie italiane dovrebbero accontentarsi di tassi di interesse all’osso. Non solo. Le dinamiche demografiche e il meccanismo di calcolo delle future pensioni pubbliche (rivalutazione annua in base alla media del pil italiano degli ultimi 5 anni) suggeriscono di alleggerire l’esposizione all’Italia e alla zona euro a favore delle aree più dinamiche ed emergenti del mondo e una focalizzazione sul debito italiano andrebbe invece nella direzione opposta.
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