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Risparmio gestito, caccia grossa agli altri 2.500 miliardi

22 Ottobre 2014 09:30
financialounge -  consulenza finanziaria fondi di diritto estero mercati obbligazionari risparmio gestito
Gli ultimi dati ufficiali pubblicati da Banca d’Italia indicavano in 3.896,8 i miliardi di euro complessivi del portafoglio di tutte le attività delle famiglie italiane a fine dicembre 2013. In base alle ultime stime, al 17 ottobre, tale importo dovrebbe essere lievitato intorno ai 4.000 miliardi.

A conti fatti, il rapporto tra il totale delle masse in prodotti del risparmio gestito, pari al 31 agosto 2014 a 1.510 miliardi, sfiorerebbe il 38%, ma, soprattutto, resterebbero quindi circa 2.500 miliardi di attività nei portafogli dei risparmiatori del Bel Paese ancora da conquistare per l’industria italiana dell’asset management. Un controvalore massa ingente di risorse che consente ai player del mercato di guardare al futuro con ragionevole ottimismo, a patto, tuttavia, di tener conto dei fattori che stanno sostenendo l’attuale trend di raccolta e, soprattutto, di evitare passi falsi.

Cominciamo a ripassare i tre driver che stanno spingendo le sottoscrizioni in Italia. In primis figura la debole concorrenza dei titoli di stato e dei bond bancari. Con i bot che rendono lo 0,3% su base annua e con il BTP a tre anni che non va oltre lo 0,9% lordo annuo, è chiaro che l’offerta di prodotti e servizi del risparmio gestito trova terreno fertile nei risparmiatori che ricercano maggiori rendimenti e una più ampia diversificazione.

Il secondo punto, invece, riguarda le banche che, avendo ridotto l’emissione di bond, puntano a fare raccolta e margini con i fondi comuni e le gestioni patrimoniali. Per comprendere quanto il sistema italiano sia dipendente ancora oggi dalle banche basti pensare che dei 61,6 miliardi di raccolta netta dei fondi comuni nei primi 8 mesi di quest’anno, ben 48,6 miliardi (pari al 78,8%) fa capo agli sportelli bancari e soltanto 13 miliardi (21,2%) alle reti di promotori.

Il terzo fattore di supporto all’industria del risparmio gestito in Italia riguarda invece il ruolo dei fondi esteri, molti dei quali emessi da gruppi italiani, ma in maniera crescente anche targati da asset manager internazionali. Questo ha permesso ai risparmiatori italiani di poter disporre delle migliori competenze a livello mondiale con uno stimolo anche alle sgr italiane ad aumentare la qualità dei prodotti e dei servizi offerti.

Per quanto attiene invece a cosa l’industria italiana del settore deve fare per proseguire anche nei prossimi anni nella crescita e nella «scalata» alla montagna degli «altri 2.500 miliardi» di tesoro delle famiglie italiane ci sono almeno tre aspetti importanti.
Il primo è quello dei costi. Sanno tutti che il costo medio annuo di un fondo italiano si colloca tra l’1,20% e l’1,30%. Ora, dal momento che nei prossimi anni ci si attende una dinamica dei rendimenti in scala ridotta rispetto al passato (si stima un 3-4% annuo per il mercato obbligazionario e un 5-6% annuo per l’azionario, dividendi inclusi), è auspicabile che tali costi tendano a scendere o, quantomeno, non lievitino ulteriormente, per non erodere eccessivamente il rendimento finale in tasca al risparmiatore.

Il secondo aspetto fa riferimento ai prodotti e ai servizi da offrire. Se da un lato è normale che gli operatori del risparmio gestito, come in tutte le industrie, promuovano novità, è tuttavia assolutamente consigliabile che i nuovi fondi non siano eccessivamente complessi e dotati di opportuni meccanismi di controllo del rischio: solo così i sottoscrittori potranno essere clienti soddisfatti e fedeli.

Infine, ma non certo per importanza, è indispensabile che aumenti la qualità della consulenza, soprattutto post vendita: è infatti sempre più importante seguire il risparmiatore lungo tutta la durata dell’investimento per aiutarlo ad assumere sempre decisioni consapevoli e lucide e non emotive.
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