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International Editor’s Picks - 24 marzo 2014

24 Marzo 2014 09:15
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Attenti alle bolle/1 – Il Wall Street Journal propone un rapido viaggio nel passato, 15 anni fa, primavera del 1999, alla ricerca di analogie tra l’allora bolla di Internet in pericoloso gonfiamento e l’attuale esplosione di IPO legate in qualche modo al mondo del web, da quella colossale di Alibaba, all’hosting service GoDaddy fino al social media Weibo, anch’esso cinese come il gigante dell’e-commerce Alibaba. Il Journal tira giù una lista di dot-com valutate centinaia di milioni di dollari 15 anni fa e sparite nel nulla negli anni successivi, ma segnala anche qualche eccezione, come Priceline: precipita fino a 10 dollari per azione nel 2006 ma nel 2013 è il primo titolo nella storia dell’S&P 500 a sfondare la soglia dei 1.000 dollari, sempre per azione, raggiungendo una capitalizzazione di quasi 68 miliardi. Il 2014 fin qui è stato l’anno più intenso per IPO a Wall Street dal 2007. Delle società che si sono quotate negli ultimi sei mesi, tre su quattro non fanno utili, ma bruciano cassa. Fin qui il WSJ. Si può forse aggiungere che la storia non si ripete e che a questo giro non basta avere un punto com dopo il nome per andare in borsa. I business model ci sono e ci sono anche i nuovi mercati, da quello dell’Internet of things alla sharing economy. Detto questo, meglio comunque non esagerare.

Attenti alle bolle/2 – Dal Journal passiamo al Financial Times che si interroga sulla Cina: è arrivato il Lehman moment per il grande paese? Dopo aver passato in rassegna i sintomi di crisi che vengono dal mercato dei bond e dall’immobiliare, il giornale della City fa un’osservazione interessante. Se parliamo di Cina l’aneddotica aiuta poco a capire cosa sta succedendo. I numeri sono troppo grandi e singoli episodi, anche importanti, non danno il trend. Inoltre in Cina il governo dell’economia è centralizzato e verticistico. Quindi i sintomi e i singoli casi si possono leggere in un solo modo: Pechino sta procedendo a un graduale e prudente sgonfiamento che ha buone possibilità di successo. Tutte le leve sono in mano al governo e l’economia è talmente grande rispetto alla dimensione relativa delle singole bolle che può assorbirle. Conclusione: nessuno tsunami in arrivo, solo sgonfiamento a onde progressive e ben gestite.

Attenti alle bolle/3 – E dal foglio rosa della City andiamo su Barron’s, dove la chief investment strategist di Charles Schwab & Co, Liz Ann Sonders, si produce in una lunga e molto dettagliata analisi sulle similitudini tra l’attuale mercato azionario americano e quello di metà degli anni 90, quando la bolla di Internet stava cominciando a gonfiarsi. Molte analogie sono scontate, altre meno. Come ad esempio il fatto che l’Europa a rischio deflazione di oggi sta recitando la parte del Giappone di allora. Oppure il fatto che gli USA stiano overperformando gli emergenti, proprio come una ventina d’anni fa. Oppure la jobless recovery, ora come allora. Ma anche molte differenze. L’attuale generazione di investitori ha conosciuto l’11 settembre e il disastro dei subprime, e quindi è più preparata e più attenta. Altra differenza, i margini di utile oggi sono molto più alti, indicando che forse i p/e sono più sostenibili. Conclusione: ci prepariamo a festeggiare qualche anno di rialzi sfrenati? Meglio accontentarsi di qualcosa di meno, quando scoppiano, le bolle fanno male.

Qualche settimana fa l’International editor segnalava tra i suoi picks la californiana Airbnb come una delle startup più interessanti della sharing economy, con una valutazione a nove zeri e la prospettiva di un’IPO a Wall Street in tempi rapidi. Venerdì 21 marzo leggiamo la conferma sulla prima pagina di Financial Times e Wall Street Journal. Gli ultimi round di equity ne proiettano la valutazione a 10 miliardi di dollari, 2 in più della catena di alberghi InterContinental. Secondo alcuni analisti infatti Airbnb rappresenta il futuro dell’industria alberghiera mondiale ed è destinata a prendere il posto occupato negli anni 60 e 70 del secolo scorso da Holiday Inn e simili. Il Journal scrive che a 10 miliardi di dollari Airbnb, che è in pratica una piattaforma di e-commerce che consente di affittare da privati camere e case in tutto il mondo, viene valutata di più di colossi del settore come Wyndham Worldwide, che con i suoi 7.500 alberghi vale “solo” 9,4 miliardi, oppure Hyatt Hotels, valutata 8,4 miliardi. È la sharing economy, bellezza!

L’eticità di un’azienda rientra sempre più spesso nei parametri adottati da molti gestori per il loro stock-picking, quindi è utile leggere su Forbes la classifica globale delle società più impegnate ad aiutare e sostenere le comunità più svantaggiate in tutto il mondo e che si impegnano ad adottare la massima trasparenza nella rendicontazione e nella comunicazione agli azionisti e al pubblico in generale. La classifica è compilata dall’Istituto Ethisphere tutti gli anni ed è considerata il benchmark per stabilire se e quanto eticamente si comporta una società. L’analisi di migliaia di casi in tutto il mondo ha portato alla selezione di 144 aziende, che rappresentano 41 diversi settori in 22 paesi. Il punteggio viene assegnato su cinque parametri: etica e compliance; reputazione, leadership e innovazione; governance; responsabilità sociale; cultura dell’etica. La lista non è una classifica, tutti i 144 sono vincitori alla pari. E ci troviamo dentro di tutto, dai nomi più blasonati dell’industria a stelle e strisce, 3M, l’antica Minnesota Mining and Manufacturing, oppure colossi della consulenza come Accenture, i colossi di internet Google e Cisco, ma anche l’indiana Tata, la tedesca Henkel, la svizzera Swiss Re, fino all’italiana Illy Caffè.
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