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Mercati e politica

Spread a 200, il mercato comincia a temere il dopo Draghi

Tra 10 mesi in Italia si vota, il mercato comincia a anticipare la scadenza della ‘put’ garantita dall’ex capo della Bce. I Btp al 3% pesano sui titoli bancari, mentre tassi, inflazione e guerra intaccano il sentiment

di Stefano Caratelli 9 Maggio 2022 08:14
financialounge -  Bullettin Mario Draghi mercati spread

Un anno fa di questi tempi il FT titolava che il mercato dei bond italiani era ‘ingabbiato’ dalla ‘Draghi put’, che teneva inchiodato lo spread tra BTP e Bund a 100 punti rendendo di fatto impossibile anche la speculazione anche sugli altri titoli del debito sovrano della periferia europea. Secondo il giornale della City, il premier da Palazzo Chigi continuava ad esercitare lo stesso potere magnetico che gli aveva consentito da presidente della Bce di evitare il collasso dell’euro nella crisi del debito sovrano. Oggi lo spread viaggia al doppio di un anno fa, Draghi è sempre al timone del governo italiano, ma nel frattempo il rendimento del T Bond americano a 10 anni è passato dall’1,4% al 3,1%, quello del Bund di è entrato abbondantemente in territorio positivo, l’inflazione globale è passata dal trotto al galoppo sfrenato, spinta dal caro energia e delle materie prime, alimentato da guerra in Ucraina e strozzature nelle catene fornitura globale esacerbate dai nuovi lockdown in Cina.

MISCELA VELENOSA


E la Fed è costretta a rincorrere, e ad alzare per la prima volta dal 2000 i tassi di mezzo punto secco, con Banca d’Inghilterra al seguito e Bce sulla strada di farlo, mentre l’economia europea rischia seriamente di entrare in recessione e forse anche quella americana. La miscela velenosa di tassi in rialzo e economia in frenata è particolarmente pericolosa per l’Italia, perché peggiora il rapporto debito/PIL e va a incrinare il circolo virtuoso perseguito da Draghi con la famosa teoria del ‘debito buono’ che serve a far ripartire e sostenere la crescita. Da quando il FT titolava sulla Draghi put, il rendimento del BTP è salito da meno dell’1% a oltre il 3%. Da allora il ‘pavimento’ su cui si misura lo spread, cioè il rendimento del Bund, è passato da -02% a +1,13%, quindi a parità di tutte le altre condizioni il rendimento del BTP dovrebbe viaggiare attorno al 2,25%, invece è al 3,15%, di qui lo spread a 200.

NEBBIA SULLE PROSSIME ELEZIONI


Evidentemente il mercato sta prezzando sull’Italia qualcosa in più del ‘cambio di regime’ di tassi e inflazione. La Draghi put, come tutte le opzioni e in generale i derivati, ha una scadenza. Nel nostro caso la data è al massimo marzo 2023, quando in Italia si va a votare, e il governo Draghi viene a scadenza insieme alla put. Sulle elezioni c’è la nebbia più fitta, non solo nessuno sa chi potrebbe vincere, ma nemmeno per quali partiti o aggregazioni si andrà a votare e addirittura nemmeno con quale sistema elettorale, con l’attuale Rosatellum, che ha prodotto il Parlamento a maggioranze variabili uscito dalle elezioni del 2018, o magari con un ritorno del proporzionale. Con tutto quello che è successo da febbraio 2021 a oggi, c’è da chiedersi dove sarebbe lo spread italiano se a Palazzo Chigi non ci fosse Draghi, nel momento in cui la guerra in Ucraina ha fatto diventare vitale la coesione europea.

IL PESO SULLE BANCHE


Lo spread che si allarga, insieme alle incertezze sul futuro assetto politico dell’Italia di qui a una decina di mesi, non fa male solo ai conti pubblici italiani, ma anche alle banche, i cui bilanci sono nella stragrande maggioranza dei casi in ottima salute salvo per una cosa, che sono pieni di BTP, il cui price to market si deteriora man mano che i rendimenti salgono insieme allo spread e le valutazioni scendono. Sullo sfondo le discussioni sul nuovo Patto di Stabilità che dovrebbe prendere il posto di quello vecchio ora sospeso e quelle sull’Unione Bancaria e il regime di garanzia unica sui depositi, che fanno fatica ad andare avanti. Sui mercati stanno venendo in superfice gli ingredienti di una miscela potenzialmente esplosiva, tanto da far parlare qualcuno, come gli strategist di Deutsche Bank, di una possibile riedizione 2.0 della crisi del debito dell’Eurozona di 10 anni fa.

FIBRILLAZIONI NEI PROSSIMI MESI


Evidentemente sono possibili anche finali a lieto fine, con la guerra che finisce presto, la Cina che esce dal tunnel dei lockdown, l’economia e il commercio globale che ripartono, l’inflazione che riabbassa la testa e consente alla Fed di dichiarare ‘missione compiuta’ con il minimo sforzo. Ma uno scenario di fibrillazioni sui mercati nei prossimi mesi, con l’Italia di nuovo sotto i riflettori, resta possibile se non probabile. Sarebbe quasi da augurarsi che l’esito delle elezioni sia talmente confuso da costringere i partiti a rimettersi nelle mani di Draghi, ma certamente qualcuno pretenderà comunque di aver vinto e di avere il diritto di provare a governare.

BOTTOM LINE


L’Orso sembra aver preso il comando delle operazioni sui mercati, a cominciare da Wall Street, aiutato dagli algoritmi che fanno salire di 900 punti il Dow Jones mercoledì per farlo scendere di 1.000 giovedì. Avventurarsi in acque così agitate resta rischioso, con una cautela in più per il mercato italiano dettata dallo spread e dalle incertezze politiche. Quindi ancora prudenza sull’azionario e magari iniziare a programmare qualche posizionamento sull’obbligazionario dove i prezzi, prima ancora dei rendimenti, stanno cominciando a diventare attraenti.
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