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Dati e prospettive

Anche con Biden è America First, ripresa molto più forte che in Europa

Dall’economia Usa arrivano segnali inattesi di grande forza e lo scenario di un ritorno del ciclo che premia l’Europa perde forza. Il Toro ha gambe, che restano saldamente piantate oltre Atlantico

di Stefano Caratelli 22 Marzo 2021 08:24
financialounge -  economia usa joe biden Morning News ripresa economica Weekly Bulletin

Nella seconda metà dell’anno scorso sembrava proprio che la vecchia Europa stesse prendendo la leadership della ripartenza globale lasciando indietro un’America investita violentemente dalla seconda ondata del virus e appesa all’incertezza elettorale. Il Next Generation EU di Ursula von der Leyen avrebbe dato benzina a una ripresa ‘ciclica’ che vedeva un’Europa avvantaggiata grazie al peso di banche, aziende energetiche e industriali concentrate nell’auto e in altri settori molto sensibili a una ripresa dei consumi, mentre l’America con i suoi pesi massimi nel Tech avrebbe perso il vantaggio della ‘stay home economy’. Alla fine del primo trimestre del 2021 i dati economici e il sentiment dei mercati dicono che le cose stanno un po’ diversamente. Il possibile ‘sorpasso’ europeo è stato cancellato dalla revisione delle stime della Fed che ora vede un PIL americano in crescita del 6,4% quest’anno contro il 4,2% stimato solo a dicembre mentre la BCE è rimasta inchiodata al 4% con alcune grandi banche che hanno tagliato le stime dall’area 5% al 4%. E da altri indicatori arrivano segnali ancora più forti sulla crescita USA.

ESPLODE L’OTTIMISMO DEI CEO USA


Uno di questi viene dalla survey condotta trimestralmente dalla Business Roundtable sui CEO americani, appena uscita, che per il primo trimestre registra un balzo in avanti di 21 punti rispetto a tre mesi fa dell’indice delle prospettive economiche a 107 punti. In particolare, il sotto-indice sulle intenzioni di assunzioni sale di ben 30 punti a 88, quello degli investimenti in programma di 16 punti a 100, mentre quello delle attese di fatturato aumenta di 17 punti a 134.



Un altro indicatore abbastanza impressionante riguarda il valore netto della disponibilità economica delle famiglie americane, vale a dire asset sottratte le liability (passività), gonfiato dal mare di stimoli fiscali e monetari risalenti ancora all’era Trump e dai risparmi in eccesso accumulati per l’effetto combinato di lockdown e accantonamenti per i rischi indotti dalla pandemia, che viene stimato a uno strabiliante 600% del PIL, tra asset finanziari, immobiliari e cash parcheggiato in banca.

POSSIBILE STRAPPO DELL’INFLAZIONE


È decisamente il classico scenario di ‘troppi soldi per comprare troppe poche cose’, dato che la ripartenza economica impatterà in qualche collo di bottiglia produttivo e distributivo ereditato dal blocco forzato dell’economia indotto dal virus. Un bello strappo dell’inflazione, preceduto da aumento delle aspettative che generano tensioni sui tassi dei Treasury, nei prossimi mesi ci sta tutto, e potrebbe prendere in contropiede anche la Fed. Che tuttavia ha probabilmente ragione a non muoversi, perché sarà uno strappo temporaneo destinato ad esaurirsi una volta che la macchina produttiva e distributiva aggancia la ripartenza dei consumi. Perché arrivino spinte inflazionistiche ‘vere’, vale a dire determinate da un mercato del lavoro che non ce la fa a star dietro alla crescita, ci vorrà molto più tempo. Per cui l’orizzonte di tassi fermi a zero indicato dalla Fed a tutto il 2023 sembra verosimile e credibile.

IN SERIE ‘A’ SOLO AMERICA, PARTE DELL’ASIA E FORSE GB


Il nuovo scenario che vede il ritorno dell’America nel ruolo di locomotiva è fotografato dalla tenuta del dollaro, che contro le attese di solo qualche settimana fa continua a tenersi attorno a 1,20 su euro, e da un mercato azionario di Wall Street non più dominato solo dai tecnologici, ma dove comunque old e new economy, rappresentate da Dow Jones e Nasdaq, continuano a passarsi la palla. L’economista Arrigo Sadun collegato da Washington con Financialounge.com ha fotografato la situazione con una metafora di sapore calcistico, che vede in ‘serie A’ l’America, in compagnia di Cina, alcuni paesi asiatici e forse anche la Gran Bretagna, e una ‘serie B’, che comprende Italia e altri paesi dell’Europa continentale, e che resta indietro. Sadun osserva acutamente che l’ingresso nella recessione indotta dalla pandemia è stato ‘sincronizzato’ a livello globale, mentre l’uscita si presenta sempre più per scaglioni.

NON ABBOCCARE ALLE SIRENE


Per l’investitore tutto questo vuol dire che deve armarsi di grande pazienza e non abboccare alle sirene che segnalano catastrofi imminenti causate dalla combinazione di tassi e inflazione americani in rialzo, di titoli tecnologici sopravvalutati destinati a schiantarsi e di debito insostenibile che i bilanci statali stanno accumulando in tutto il mondo. Ci saranno sicuramente scossoni sia in America che in Europa, ma il Toro è ben piantato sulle gambe e ogni correzione sembra un’occasione da cogliere. Il cammino europeo potrebbe essere un po’ più accidentato di quanto sembrasse un paio di mesi fa ma anche qui la direzione è la stessa. Casomai va buttato un occhio al rischio geopolitico, il più ignorato da commentatori e analisti e il meno prezzato in questo momento dai mercati. Biden non ha alleggerito le tensioni con la Cina, casomai ha aggiunto una componente ideologica che era assente dall’armamentario di Trump.

BOTTOM LINE


Il sentiment muove il mercato da un giorno all’altro, non va ignorato ma non può essere la bussola dell’investitore che guarda al lungo termine. L’euforia dei vari Robinhood e Reddit non segnalava una bolla pronta a sgonfiarsi come nel 2000, mentre il flusso continuo di risultati societari solidi e di miglioramento della guidance dice qualcosa di importante. Tirare a indovinare molto raramente paga, ragionare su dati e guardare dalla giusta distanza e con ragionevole distacco di solito dà soddisfazioni.
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