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Uber Ipo, quattro aspetti critici da non trascurare

Uber starebbe preparando l’Ipo per il prossimo mese di maggio, ma l’andamento estremamente volatile dell’offerta pubblica del concorrente Lyft fa dubitare analisti e investitori

di Redazione 17 Aprile 2019 07:00

Passi importanti per l’Uber Ipo (offerta iniziale pubblica) per il prossimo mese di maggio. Al momento, l'unico numero che la società spera attiri l’attenzione dei potenziali sottoscrittori è quello relativo alla crescita dei ricavi che mostra un robusto +42% nel 2018, con 11,3 miliardi di dollari di fatturato rispetto ai 7,9 miliardi del 2017. Dovrebbe essere sufficiente a ingrossare le fila dei tanti investitori dell’Uber IPO alla ricerca di un cavallo di razza su cui puntare e che, stando alle ultime proiezioni, dovrebbe capitalizzare in Borsa tra 90 e 100 miliardi di dollari.

L’ALTALENA DELL’IPO DI LYFT


Tuttavia, quanto accaduto agli investitori che poche settimane fa hanno sottoscritto l’Ipo di Lyft farà senz’altro riflettere. Il titolo Lyft, quotato alla borsa di New York con una forbice di prezzo compresa tra i 70-72 dollari per azione, è stato collocato con una valutazione totale compresa tra i 24 e i 25 miliardi di dollari. Ma dopo un ottimo esordio al primo giorno di quotazione (+20%), il valore del titolo si è bruscamente inclinato scendendo fino ai 56 dollari della chiusura di ieri anche perché il gruppo, che evidenzia ingenti perdite di bilancio, ha ammesso che il proprio futuro dipende dalla strategia di sostituire i tassisti “umani” con le auto a guida autonoma.

NESSUNA CHIARA STRATEGIA VINCENTE


E anche Uber, come pure AirBnB, non mostra una chiara strategia vincente. Secondo alcuni analisti, Uber, in particolare, evidenzia almeno quattro criticità alle quali i potenziali sottoscrittori dell’Uber IPO dovranno prestare particolare attenzione.

INGENTI PERDITE OPERATIVE


La prima è relativa al fatto che il gruppo sta perdendo denaro e probabilmente lo farà ancora per qualche tempo: Uber ha infatti registrato perdite operative per 3 miliardi nel 2018 e per oltre 10 miliardi negli ultimi tre esercizi. E, cosa ancora più importante, la stessa società ha di recente avvertito che si è solo all’inizio: il management prevede di continuare a subire perdite nel breve periodo a seguito dei previsti aumenti delle spese operative per nuove assunzioni, sconti e incentivi per ottenere o mantenere quote di mercato, e per tutti gli investimenti nell’innovazione tecnologica. In parallelo, e siamo alla seconda criticità, cresce la concorrenza in tutte le sue attività: dalla mobilità personale alla consegna dei pasti fino alla logistica a livello globale.

DIFFICOLTA’ A REPERIRE CAPITALI DOPO L’IPO


La terza criticità riguarda invece la possibile difficoltà che Uber potrebbe incontrare una volta quotata. Finora i gruppi di venture capital privati hanno sostenuto gli enormi investimenti ma nel caso in cui avesse luogo l’Uber Ipo, i nuovi capitali dovrebbero essere garantiti dagli azionisti e dal mercato, tenendo conto che Uber ha già debiti per 7,5 miliardi di dollari. Infine, e sia al quarto aspetto critico messo in evidenza da alcuni analisti, l’attuale gruppo dirigente viene ritenuto inesperto in un mondo caratterizzato da sfide difficili. Non soltanto sul fronte della dura concorrenza ma anche nell’ambito delle questioni normative spinose in mercati chiave come New York e San Francisco, oltre alle barriere legali e culturali negli oltre 63 paesi in cui opera e che rappresentano i tre quarti di tutti i percorsi coperti dal gruppo.

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LA CONCORRENZA DI GOOGLE, GM, DAIMLER e VW


Non solo la grande spinta di Uber (e di Lyft) alla guida autonoma la contrapporrà a concorrenti molto forti e ben capitalizzati come Alphabet (Google), General Motors, Daimler e Volkswagen, con investimenti nella tecnologia avanzata applicata all’automotive che potrebbe richiedere molte più risorse di quanto Uber possa ora permettersi. Come dire che la Uber Ipo, che si preannuncia da record per l’ammontare del collocamento in Borsa, potrebbe rivelarsi piuttosto complicata per gli investitori che volessero mantenere il titolo in portafoglio.
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