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Bond perpetui: alto rendimento, ma non sono per tutti

Un po’ azioni, un po’ obbligazioni: grazie a Unicredit e Bpm sono tornati sotto i riflettori, visti i bassi rendimenti di altri corporate e titoli pubblici. Ma attenzione: non sono per tutti e sono poco liquidi

di Giancarlo Salemi 16 Aprile 2019 07:00

La massima dell’economista John Maynard Keynes secondo cui “Nel lungo periodo saremo tutti morti” non si addice ai bond perpetui che sono lunghi, lunghissimi, a volte eterni. Ma che sono tornati di moda in queste settimane dopo il successo del collocamento ad opera di Unicredit e la decisione di Bpm di emettere a suo volta un bond con redimenti superiori all’8%. In realtà non sono una novità – in Inghilterra il Tesoro della Corona li emetteva già nel 1700 per finanziare i salvataggi in seguito all’esplosione della Bolla dei Mari del Sud - ma uno strumento che viene apprezzato molto soprattutto da investitori istituzionali che dispongono di liquidità e puntano ad un rendimento molto più allettante dei titoli sovrani che al massimo, come il Btp trentennale, arrivano ad un tasso del 3%. Ma convengono e, soprattutto, chi può accedervi?

ESISTONO IN ITALIA DAL 2004, MA NON SONO PER IL RETAIL


“Questo prodotto finanziario è entrato in Italia con la riforma Vietti del 2004 – ci spiega Emanuele Canegrati, senior analyst di BpPrime – e fa parte della famiglia delle obbligazioni, usufruendo di un regime fiscale al 12,50%. Le sue caratteristiche rimangono comunque ibride. Sono un po’ obbligazione, un po’ azione. Si tratta di un prestito senza scadenza e quindi senza rimborso (e dal punto di vista di scadenza e rimborso assomiglia alle azioni), ma che assicura il pagamento di un tasso d’interesse (come le obbligazioni) fisso, a tempo indeterminato, in genere più alto della media del mercato”. Attenzione però perché la platea che può avvicinarsi non è quella retail anche per il taglio minimo che spesso parte da 100mila euro. “E’ molto difficile che li abbiano i privati – argomenta Vincenzo Longo market strategist di IG Group – sono soggetti a diversi rischi di curva e aspettative inflattive, sono davvero particolari e di difficile gestione per un risparmiatore, anche perché sono poco liquidi”.

COME INDIVIDUARE IL BOND PERPETUO PIU’ ADATTO?


Gli elementi sono diversi e non bisogna solo basarsi sulle cedole. La prima mossa - suggeriscono gli analisti - è quella di cercare istituti di credito che hanno una buona storia sul lato dividendi. In questo senso sono da preferire le banche nei confronti delle quali hanno un peso importante le Fondazioni. Queste, infatti, normalmente esercitano una pressione nei confronti delle società affinché distribuiscano il dividendo. Poi bisogna evitare rating troppo bassi, al di sotto della tripla B, c’è infatti anche un rischio emittente concreto. La cedola, vero motivo per cui si investe in queste operazioni, può essere cancellata nel caso di mancata distribuzione del dividendo e di esercizio in perdita, così come il capitale rischia di non essere parzialmente o totalmente rimborsato nel caso gli indici patrimoniali scendessero sotto il livello prefissato e comunicato all’atto dell’emissione del bond. Investire poi in un’emissione perpetua non significa mantenerla in portafoglio per sempre. L’emittente, infatti, spesso si riserva di rimborsare in anticipo il prestito, mediamente dopo cinque o dieci anni. Poi si può anche decidere di chiudere l’investimento in anticipo, ma ovviamente alle quotazioni di mercato, con il pericolo se si ha bisogno di rientrare dall’investimento di vendere ad un prezzo inferiore a quello d’acquisto.

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RIFLETTORI ACCESI ANCHE PERCHE’ ADESSO I TASSI SONO MOLTO BASSI


Unicredit a marzo ha chiuso con richieste da parte degli investitori soprattutto esteri per oltre 5 miliardi di euro, quattro miliardi sopra il livello dell’emissione. Oltre 300 gli investitori che hanno partecipato per un interesse pari al 7,5%. Il titolo appartiene alla categoria più rischiosa Additional Tier 1 (AT1) e quindi con un costo maggiore per l’emittente. Lo stesso successo si aspetta Bpm. “In questo momento con i tassi molto bassi – prosegue Longo – gli operatori cercano di approfittare di rendimenti elevati per alcune categorie, come le Fondazioni o gli investitori istituzionali di lungo periodo”. “Ci vuole una certa expertise quando ci si approccia a questo investimento – aggiunge Canegrati – per valutare bene il rapporto rischio/rendimento. Convengono? Non c’è una risposta univoca, dipende dal grado di avversione al rischio dell’acquirente e magari con i tassi bassi convengono anche più alle società emittenti che possono irrobustire il loro patrimonio”.

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BOND DEL TESORO PERPETUI IN AUSTRIA, MA NON IN ITALIA PERCHE’?


Una strumento quello dei bond perpetui che viene utilizzato anche da diversi paesi, basta considerare il successo di due anni fa del governo austriaco che nonostante un tasso di rendimento del 2,1% ha piazzato il suo perpetual ricevendo il triplo delle richieste. Questo però non avviene in Italia, il Tesoro al massimo colloca titoli con scadenza 50 anni e non ha in serbo di accedere a questo tipo di finanziamento. “Ovviamente i paesi che possono farlo – spiega Longo – sono quelli che hanno un debito sostenibile, non certo l’Italia. E’ uno strumento invece usato da Paesi che hanno un basso debito e cercano approvvigionamenti diversi come una sorta di ‘fondo extra’ come ha fatto l’Austria”. “Evidentemente il Tesoro italiano ha bisogno di un funding più di breve durata – conclude Canegrati – e la nostra finanza pubblica è molto più debole rispetto a quella austriaca”.
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