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Si chiama lowflation la magia che tiene tutto a galla

Si è chiuso un trimestre che ha visto salire i prezzi di tutti gli asset, dalle azioni ai bond fino al petrolio. Una contraddizione che deve essere corretta? O forse è la nuova normalità garantita dalle Banche centrali

1 Aprile 2019 09:26

Allora, qui sta salendo tutto. Wall Street ha chiuso uno dei migliori primi trimestri da anni con lo S&P 500 ormai in vista di quota 2.900 e dei massimi di sempre toccati a fine settembre-inizio ottobre 2018. Salgono anche i bond, in termini di prezzo non di rendimento che invece va a picco, con il titolo del Tesoro USA a 10 anni che dai minimi di fine 2018 chiude marzo con un guadagno del 6%. Per non parlare del Bund tedesco a 30 anni, che nello stesso periodo ha portato a casa quasi l’8%. E sale anche il petrolio, con il WTI americano che mette a segno il miglior trimestre dal 2009 e si riporta sopra $60 ai massimi di 4 mesi. E’ un mondo alla rovescia, qualcuno lo definisce ‘giapponesizzato’, altri hanno coniato il termine lowflation che volendo è la faccia ‘buona’ della stagflazione. La vecchia regola secondo cui per avere ritorni elevati bisogna prendersi rischi corrispondentemente alti sembra non valga più. Il Bund tedesco è probabilmente uno degli asset meno rischiosi del pianeta, e in un solo trimestre premia con un total return vicino al 10%! Il prezzo dei beni rifugio, come il T-bond americano, di solito salgono quando la gente cerca riparo da turbolenze che investono gli asset più a rischio, come le azioni. Invece in questo primo trimestre le due asset class sono salite in tandem.

UNA SITUAZIONE CHE CONFONDE MERCATI E ANALISTI


Ovviamente, se il segmento del reddito fisso di più alta qualità si apprezza, si tira dietro tutto il resto: corporate bond, high yield, debito emergente, fino ai junk bond. Bloomberg ha calcolato che solo nelle ultime tre settimane il valore di mercato dei bond globali è aumentato di 1.600 mld di dollari. Il tutto nel contesto di mercati azionari in salita, da Wall Street alla Cina. Il buon senso e la memoria storica suggeriscono che qualcuno si sta sbagliando, e che prima o poi l’anomalia dovrà essere corretta, o da una correzione dell’azionario o da un’impennata dei rendimenti con conseguente calo dei prezzi dei bond. E il petrolio? Anche qui c’è apparentemente una contraddizione con la narrativa di economie globali in rallentamento e l’Europa pericolosamente vicina a una recessione. Se le economie frenano consumano meno energia, quindi i prezzi della principale fonte, che continua ad essere fatta di combustibili fossili, in base al gioco della domanda e dell’offerta dovrebbero scendere, non salire. E’ una situazione che confonde mercati e analisti. Su un sito americano abbiamo trovato due titoli uno vicino all’altro. Il primo dice che l’inversione della curva dei tassi USA segnala che Wall Street ha toccato il picco e che si avvicina una recessione. Il secondo che la stessa inversione della curva segnala che Wall Street si prepara a segnare un nuovo massimo storico.

La corsa anomala dei prezzi dei bond a minor rischio


La corsa anomala dei prezzi dei bond a minor rischio





LA SVOLTA CONVERGENTE DELLE BANCHE CENTRALI


Alla fine potrebbe non essere una contraddizione. L’uscita di scena del Toro di solito è preceduta dall’euforia e dai fuochi d’artificio che precedono a loro volta l’arrivo dell’Orso. La volatilità non punta a questo scenario, l’indice che la misura, il VIX, è sui minimi, e le scommesse al ribasso superano di gran lunga quelle al rialzo. Di solito si ‘compra’ volatilità, gli strumenti non mancano, per proteggersi da possibili turbolenze in arrivo. In questo momento gli investitori non ne sentono il bisogno. Perché no? Probabilmente perché si sentono protetti dalle mani forti delle banche centrali, che sono passate dalla divergenza di fine 2018, con la Fed che andava verso il ritorno alla normalità di tassi reali in avanzata in territorio positivo e le altre, dalla BCE al Giappone alla Cina, in direzione opposta. Ora le direzioni convergono verso politiche accomodanti, disposte a tollerare l’inflazione pur di non far deragliare una crescita stentata. Può funzionare anche a lungo, se l’inflazione non strappa, e niente indica che si prepari a farlo, nemmeno in USA. I tutto però ha un costo, che si chiama debito.

UNA MONTAGNA DI DEBITO CHE PERO' NON FA PAURA


Tassi reali vicini a zero o sotto, come in Europa, spingono tutti a indebitarsi, dagli stati alle imprese fino ai privati. La montagna del debito globale, secondo le stime dell’Institute of International Finance, si sta avvicinando alla cifra astronomica di 250.000 mld di dollari, più di tre volte il PIL del pianeta. La parte più consistente è debito corporate non finanziario, seguono i governi e il settore finanziario. In capo alle famiglie solo meno di un quinto del totale. Quello che cresce più velocemente è il debito degli stati, quasi raddoppiato in un decennio a oltre 65.000 mld di dollari a fine 2018. Il debito delle famiglie è alimentato soprattutto dalla crescita nei paesi emergenti, dove classi medie sempre più numerose sono in grado di sostenerne l’onere. Ovviamente le cifre assolute sono mostruose ma non dicono la verità, perché ciascuna delle parti in causa è anche creditrice nei confronti delle altre: il debito degli stati è detenuto da famiglie e imprese soprattutto del settore finanziario, e gli stati sono a loro volta in qualche modo ‘creditori’ di tutti gli altri in termini di gettiti fiscali futuri.

Attese & Mercati – Settimana dal 1 aprile 2019


Attese & Mercati – Settimana dal 1 aprile 2019





BOTTOM LINE


Il pianeta galleggia su un mare di debito, ma la situazione sembra sostenibile, perché costa poco o niente a chi lo emette ma rende anche poco a chi lo detiene. La lowflation tiene tutto insieme, al prezzo di una crescita modesta e di redditi reali bassi, soprattutto nei paesi sviluppati. Le imprese riescono a proteggere i margini senza dover alzare i prezzi, grazie a digitalizzazione e automazione che avanzano. Può durare? Forse più a lungo di quello che pensiamo.
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