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Def e volatilità dei bond rischiano di far ripartire lo spread

Tornano le fibrillazioni sullo spread nonostante il Tesoro abbia piazzato bene le aste di Bot e Btp. Pesano i numeri del Def ma anche la recessione americana che a quanto pare non è così remota, almeno per gli analisti

di Giancarlo Salemi 29 Marzo 2019 11:26

Ci risiamo? La preparazione del Documento di Economia e Finanza che il governo sta limando in questi giorni e che presenterà entro il 10 aprile ha rimesso in moto l’altalena dello spread che, se la scorsa settimana era sceso sotto i 230 punti base, si è impennato fino a 263 punti rompendo la soglia psicologica dei 250 dove si era arrestato da oltre un mese. L’allargamento del differenziale di rendimento è dettato anche dal rally che sta caratterizzando il Bund, con tasso del decennale tedesco sceso fino a -0,06% sui minimi dal 2016 e al calo anche dei rendimenti del Treasury, il bond americano, a 10 anni (2,36%) e di quello giapponese JGB (-0,067%).

CONFINDUSTRIA CRESCITA ZERO, GOVERNO DEFICIT PIL 2,4%


Riguardo all’Italia ciò che pesa maggiormente sono le revisioni a ribasso della crescita. L’ufficio studi di Confindustria ha aggiornato le stime e vede crescita zero nel 2019, mentre il governo sarebbe pronto a tagliare drasticamente le stime nel prossimo Def, si parla di un +0,1% rispetto al +1% indicato in precedenza, con il rapporto deficit-Pil che dovrebbe essere rivisto al rialzo dal 2,04% al 2,4% del prodotto interno lordo che poi fu proprio il pomo della discordia lo scorso autunno tra l’Unione europea e l’Italia sulle trattative sulla legge di bilancio. E anche se non dovrebbero esserci manovre correttive, questo almeno è il ritornello che ripetono insieme sia il ministro dell’Economia, Giovanni Tria che il vicepremier Luigi Di Maio, i mercati temono “i conti poco in ordine” del governo italiano che deve racimolare risorse, almeno per 23 miliardi di euro, per sterilizzare le clausole di salvaguardia evitando l’aumento dell’iva in piena campagna per le elezioni europee.

FORTE VOLATILITÀ DEI MERCATI, ARRIVA LA RECESSIONE USA?


“E’ un momento di forte volatilità sui mercati obbligazionari – ci spiega Enrico Vaccari responsabile clientela istituzionale di Consultinvest– e la colpa più che nell’Italia è da ricercare negli Stati Uniti: la curva dei tassi, per la prima volta dopo un decennio, si è invertita con il rendimento a dieci anni sotto quello a tre mesi. Questo è l’evento più importante che sta condizionando tutti i mercati obbligazionari. C’è molta tensione e, quindi, anche di conseguenza sugli spread dei paesi periferici in relazione al fatto che questo dietrofront delle Banche centrali lascia i mercati in imbarazzo: non si capisce se hanno stretto troppo presto, il riferimento è alla Federal Reserve, o se viceversa è solo un rallentamento momentaneo”. Attualmente una obbligazione del Tesoro americano a 3 mesi rende circa 2,453; a 6 mesi 2,469; a 1 anno 2,444; a 2 anni, 2,325; se arriviamo a quella a 10 anni parliamo di un rendimento di 2,36. Ciò significa che investire oggi in un bond a tre mesi rende di più che investire in un’obbligazione a dieci anni: l’ultima volta che accadde ciò era nel 2007, appena prima dello scoppio della grande crisi economica e storicamente, l’inversione della curva dei rendimenti (dove i tassi a lungo termine scendono al di sotto di quelli a breve periodo) è visto dagli analisti come “un primo segnale di recessione”.

La corsa anomala dei prezzi dei bond a minor rischio


La corsa anomala dei prezzi dei bond a minor rischio






E L’ITALIA? BENE I BOT MA PREOCCUPANO I CONTI


Quello che pagherebbe l’Italia in questo contesto è di essere l’anello debole dei paesi emittenti europei anche se l’ultima asta dei Bot del Tesoro è andata bene con l’assegnazione di titoli semestrali per 6 miliardi di euro e il rendimento medio di assegnazione è stato di -0,069%, in calo dal -0,007%, sui livelli più bassi da aprile 2018. Il rendimento è stato in negativo per il terzo mese consecutivo con una domanda che si mantiene sostenuta con richieste per oltre 9,55 miliardi di euro. Individua tre fattori, Francesco Dalla Libera, del team Investimenti di Euclidea Sim che potrebbero incidere sullo spread. “Le scelte della Bce – ci spiega - che sono ormai orientate a mantenere i tassi in negativo fino a fine anno, e che hanno schiacciato i tassi tedeschi decennali fino allo 0%. Il secondo aspetto è l’eventuale accordo Stati Uniti-Cina che rasserenerebbe il clima lato commercio e che tendenzialmente porterebbe ad un rialzo dei tassi tedeschi: Infine anche l’instabilità della situazione politica italiana: le misure “quota100” e “reddito di cittadinanza”, seppur depotenziate, costituiscono un impegno fiscale importante, soprattutto quando questi provvedimenti non verranno compensati da una ripresa del Pil e conseguente maggiore gettito fiscale”.

TUTTO DIPENDERÀ ANCHE DALLA NUOVA EUROPA POST ELEZIONI


Uno scenario di impennate dello spread non è assolutamente da escludere – ci spiega Angelo Meda, responsabile azionario di Banor Sim - a prescindere dalle valutazioni politiche, la storia ci dimostra che da un lato le politiche di austerity hanno solo creato difficoltà nei paesi dove si sono adottate (la Grecia è l'esempio principe), dall'altro la rigidità dell'Europa ha sempre creato tensioni. Sarà interessante vedere che Commissione Europea e che Parlamento si genereranno dalle prossime elezioni europee prima di esprimere un primo giudizio, ma un allargamento dello spread a seguito prima di un rallentamento macroeconomico, come sta segnalando il Bund andato a tassi negativi, e poi dalle politiche di rientro dal deficit sembra uno scenario più che plausibile”.
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