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Attenti a non picconare il ponte della fiducia

La tragedia di Genova è stata percepita come la metafora di un paese che fatica a ritrovare la spinta vincente di 50 anni fa e il mercato manda i suoi segnali. Intanto Wall Street ignora il rischio Emergenti e Trump rilancia.

20 Agosto 2018 10:45
financialounge -  donald Trump fiducia Genova

La relazione tra gli investitori e un paese è fatta di molte cose, ma c’è n’è una che sta sopra tutte le altre che si chiama fiducia. Nel luglio del 1992 l’Efim, un ente di Stato, non ce la fa a onorare i debiti, qualche migliaio di mld di lire, fatti anche di bond, che erano stati venduti a grandi banche internazionali, tipo Nomura, con l’assicurazione che erano come debito dello Stato. L’allora premier Amato trovò un cavillo per non pagare ma il messaggio fu: l’Italia non paga. E allora giù a vendere lira e Btp. Il conto arrivò a settembre, con l’espulsione dal sistema monetario, la svalutazione del 30% e la manovra da 100mila miliardi, col famoso prelievo notturno dai conti correnti. Il fatto che ci fosse ancora la lira e non la ‘gabbia’ dell’euro non aiutò, anzi. La fiducia può riguardare anche la capacità di superare le difficoltà e ripartire. Le reazioni alla catastrofe di Genova, dalla politica all’impresa coinvolta, sono state vissute come la metafora di un paese in declino che non riesce a trovare la strada per ripartire. Lo spread si è impennato e le banche hanno sofferto un calo del 5,4%.

SPECULAZIONE PIÙ FACILE A AGOSTO


Il mercato giudica i fatti. Dopo le elezioni del 4 marzo, nonostante la vittoria di partiti percepiti, a torto o ragione, come euroscettici e insofferenti alla disciplina di bilancio, gli investitori confermavano la fiducia in un paese avviato su un percorso virtuoso, fatto di conti rimessi pian piano in ordine, imprese che assumono e esportano, banche che fanno pulizia nei bilanci. A metà maggio una bozza di programma stonata, che ipotizza addirittura l’uscita dall’euro, fa incrinare la fiducia. Le cose si aggiustano un po’, ma arriva il decreto dignità, praticamente dice che è meglio avere disoccupati che stanno a casa e campano con il reddito di cittadinanza che gente che lavora, anche se in flessibilità. E la fiducia torna a incrinarsi. Poi la tragedia di Genova manda in scena il contrasto tra l’Italia vincente degli anni 60 e quella smarrita di agosto 2018. Probabilmente gli scambi sottili hanno favorito la speculazione, e magari da oggi assistiamo a ricoperture su banche e BTP che fanno scattare un rimbalzo. Ma gli esami di settembre-ottobre, quando si dovranno mettere nero su bianco i numeri della legge di bilancio, si preannunciano severi.

ORSO SOLO PER UN PAIO D’ORE


Detto questo, il livello toccato dal rendimento del BTP, sopra il 3%, e dallo spread a 280 non lanciano ancora allarmi rossi. La speculazione fa il suo mestiere, che è quello di fare possibilmente quattrini e testare la tenuta di un’azienda o di un paese. Nel resto del mondo la settimana trascorsa ha confermato lo scenario agostano. Fanno notizia i mercati emergenti, Cina in testa, che soffrono per la combinazione di dollaro forte, tassi in rialzo e commodities in calo, molti si esercitano a trovare somiglianze con la crisi asiatica del 1998, ma il mondo è cambiato. Qualche grande testata internazionale ha pensato di fare titoli sui mercati emergenti che sono entrati in territorio Orso. È vero, tra mercoledì e giovedì alcuni indici di settore sono scesi di un decimale o due sotto il 20% dai massimi di fine gennaio, ma il tutto è durato un paio d’ore. Oltretutto sono indici basati su panieri di ETF dentro i quali c’è di tutto, dal Pakistan al Cile, dalla Cina, all’India alla Colombia. Wall Street se ne infischia e sia lo S&P 500 che il Dow Jones continuano a flirtare con i record storici del 26 gennaio, galvanizzati da trimestrale stellare di Walmart che ha ritrovato la strada della competitività anche nell’era di Amazon.

NUOVA RIVOLUZIONE DI TRUMP


Intanto Trump prepara un’altra rivoluzione finanziaria. Dopo aver allentato radicalmente il fardello di regolamentazione sulle banche introdotto dopo il crac Lehman ora propone di eliminare l’obbligo di reporting trimestrale per le società quotate facendolo diventare semestrale. Da molto tempo le trimestrali sono sotto accusa perché inducono il management a stressare i risultati per spingere al rialzo EPS e quotazioni, con una gestione orientata al brevissimo termine. Ovviamente non mancano le critiche, prima tra tutte quelle che sollevano il timore di scarsa trasparenza. Una misura del genere però potrebbe contribuire ad avvicinare alla quotazione imprese molto grandi, come gli Unicorni, oggi possedute privatamente, proprio perché gli azionisti vogliono evitare di essere condizionati nelle scelte di lungo termine dai risultati trimestrali. I sostenitori aggiungono che il passaggio alle semestrali potrebbe ridurre la volatilità e rendere meno estreme le valutazioni dei titoli.

BOTTOM LINE


La Turchia di Erdogan continua la battaglia persa in partenza contro i mercati e alla fine il conto da pagare per i turchi sarà salato. Il sostegno di Putin ad Ankara è assolutamente strumentale, le parole non costano niente, e il quadrilatero Russia-Turchia-Qatar-Iran si può scomporre da un momento all’altro se ai due partner più forti, Mosca e Doha, dovesse convenire. L’idea di scimmiottare la Turchia dando la colpa ai mercati dei propri errori invece di ascoltarli sembra decisamente poco raccomandabile. Il ponte della fiducia ha bisogno di continua manutenzione e non di picconate.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)

Attese & Mercati – Settimana dal 20 agosto 2018 - News - FinanciaLounge


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