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Banca Centrale Giappone

L’arte giapponese di comprare gli ETF

È praticata specialmente da Bank of Japan e dal Fondo Pensione del governo, che gestiscono portafogli immensi comprando in Borsa i fondi che replicano azioni e indici

20 Luglio 2018 10:24

La Borsa del Giappone, con sede a Tokyo, è decisamente uno strano animale. Il grafico degli ultimi 30 anni non somiglia a nessuno di quelli delle Borse del mondo sviluppato, eppure è uno dei mercati azionari più grandi del mondo. Per capitalizzazione la battono solo New York e Londra, ed è più grande di Shanghai e Hong Kong. Pur essendo immenso, è però un mercato dominato da operatori domestici, e segue logiche tutte sue. L’indice Nikkei il suo record di tutti i tempi lo ha toccato nel 1989 e mai più replicato, 11 anni prima della bolla della new economy. La crisi del 2008 l’ha anticipata di un anno, ma ora sembra allineato a Wall Street nella rincorsa del lunghissimo mercato Toro.


L'andamento dell'indice Nikkei dal 1985 a oggi (Fonte: Investing.com)

UN AZIONISTA DI RIFERIMENTO IMPORTANTE


A Tokyo sono diffusissimi gli ETF, i fondi che replicano indici e singoli titoli. Solo a giugno hanno segnato flussi netti per $5 miliardi, più di Wall Street. Una ragione c’è, ed è che in Giappone gli ETF sono gli strumenti preferiti da due grandi compratori dalle mani forti, anzi fortissime. Il primo si chiama Bank of Japan, che ha in portafoglio quasi l’80% di tutti gli ETF quotati nel paese del Sol Levante attraverso i quali è azionista di quasi il 40% di tutte le società quotate. Quando si dice azionista di riferimento…

Il secondo si chiama Government Pension Investment Fund (GPIF), il fondo da cui dipendono le pensioni mensili di decine di milioni di dipendenti pubblici, che gestisce oltre $1.400 miliardi, per oltre la metà investiti in titoli giapponesi, equamente ripartiti tra azioni e bond.

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IL DEBITO NON PESA NEL SOL LEVANTE


L’investimento nelle azioni di Tokyo piace sia a Bank of Japan che al GPIF, perché essendo grandi compratori, l’effetto dei loro acquisti è quello di far salire i prezzi, e quindi aumentare il valore nominale dei rispettivi portafogli. In nessun paese sviluppato, e forse neanche emergente, sarebbe immaginabile un intervento di mani pubbliche sul mercato azionario e obbligazionario di questa portata. Ma siamo in Giappone, un paese che si permette di avere un rapporto debito/PIL che da anni flirta con il livello del 200% senza che nessuno si preoccupi più di tanto. Anzi, lo yen è considerato una valuta rifugio per gli investitori in tempi di turbolenza.

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LIMITE RAGGIUNTO E SUPERATO


In un mercato come quello giapponese, l’arte dell’investimento non è tanto quella di studiare i fondamentali delle società e dell’economia, che restano comunque importanti, ma piuttosto la capacità di leggere nel pensiero di quelli che il mercato lo fanno, come il governatore di Bank of Japan Haruhiko Kuroda, o Hiromici Mizuno, numero uno di GPIF. Un problema quest’ultimo però lo ha. Per legge i suo investimenti  in azioni giapponesi non potrebbero superare il 25% degli asset gestiti, e invece hanno già oltrepassato il limite, come ha scoperto  il sito americano ZeroHedge. Non sembra che alla Borsa di Tokyo però siano particolarmente preoccupati, il Nikkei continua a salire, sicuramente una soluzione si trova. Alla giapponese naturalmente.
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