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Angela Merkel

L’Atlantico sta diventando troppo largo perfino per Cristoforo Colombo

In America il vecchio e logoro capitalismo sembra vivere una nuova giovinezza mentre un’Europa che perde i pezzi è tenuta insieme solo dalla volontà di Mario Draghi.

18 Giugno 2018 08:34

Correva l’anno 1918 e Vladimir Ilyich Ulyanov, meglio noto come Lenin, fresco di rivoluzione appena vinta, cominciava a teorizzare il ‘socialismo in un solo paese’, che dal 1924 sarebbe diventata con Stalin e Bukharin la dottrina dell’impero sovietico fino al suo collasso un’ottantina di anni dopo. Il marxismo classico sosteneva che la rivoluzione comunista dovesse per forza essere ‘globale’ per avere successo, ma i suoi seguaci russi, visto il fallimento delle rivoluzioni proletarie in Europa dopo la Grande Guerra, si inventarono che poteva funzionare benissimo anche in un solo grande paese, che avrebbe fatto da modello e da faro ai comunisti nel resto del mondo. Come sappiamo la Storia non si ripete mai, ma a volte sussurra in rima qualche chiave di lettura del presente. E se Donald Trump, magari a sua insaputa, stesse inventando la dottrina del capitalismo in un solo paese, abbastanza grande e potente da poter fare da solo e magari farsi imitare anche dal resto del mondo? Dopo il collasso sovietico sembrava che la formula vincente fosse un capitalismo temperato da uno statalismo sociale sempre più diffuso, interpretato soprattutto in Europa ma anche nell’America di Bush figlio, con la sua politica catastrofica dei mutui a tutti anche se privi di reddito, e poi di Obama. La grande crisi partita dall’America e poi sbarcata in Europa ha mostrato i limiti del nuovo modello, che ha consentito forse di salvare il sistema dalla catastrofe ma non è riuscito a resuscitare gli spiriti animali dell’economia. Con Trump le strade di America e Europa si sono divise, con il Nuovo Continente alla ricerca delle sue radici capitaliste, fatte di meno stato e più impresa, e il Vecchio aggrappato a una ricetta sempre più contestata dagli elettori.

MERKEL SENZA PIU’ SPONDE


L’Europa a trazione tedesca con la formula della Grande Coalizione, interpretata in tre dei quattro governi Merkel che si sono succeduti dal 2005 ad oggi, basata sull’idea che se si scontentano tutti si sta facendo la cosa giusta, sta andando in pezzi. Anche in Germania si sta cominciando a litigare proprio all’interno del partito della Merkel, guarda caso sulla questione migranti. Negli ultimi due anni la Cancelliera ha visto cadere uno a uno tutti i suoi alleati, dal britannico Cameron, al francese Hollande, all’italiano Renzi, allo spagnolo Rajoy, per non parlare del disastro subito con la mancata elezione di Hillary Clinton. Il problema è che non si riesce nemmeno ad intravvedere una leadership di ricambio, qualcosa della caratura di un Tony Blair o di un Gerhard Schröder. Macron aveva suscitato grandi speranze ma sembra che si stia perdendo dietro ai sogni di grandeur francese, come l’idea balzana di tornare al francese e abbandonare l’inglese nelle comunicazioni comunitarie. Da cinque anni l’unica àncora europea è Mario Draghi, con il suo stimolo monetario ha fatto ripartire l’economia e comprato tempo prezioso per la politica, ma delle riforme necessarie – unione fiscale e bancaria, eurobond, ritirata della burocrazia di Bruxelles e liberazione delle imprese dall’eccesso regolatorio – non si vede neanche l’ombra. Lo scollamento politico europeo comincia ad avere i suoi effetti sulla fiducia di imprese e consumatori, che sta cominciando a sua volta a trasmettersi anche all’economia reale. I mercati azionari, che di solito anticipano, ne stanno prendendo atto.

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AMERICA IN ‘GREAT SHAPE’


Un copione simmetricamente opposto sta andando in scena in America. L’economia va alla grande, in ‘great shape’, come ha detto settimana scorsa il capo della Fed Jay Powell, la crescita sta tornando in area 3%, livello mai toccato in otto anni di Obama, con le imprese che non si stancano di assumere e investire. Wall Street sarà anche ipercomprata e Milano ipervenduta, come abbiamo scritto una settimana fa, ma se la politica europea continua a produrre disastri alla fine i mercati ne prendono atto. L’unica cosa che tiene ancora insieme Merkel, Macron e (sempre più pochi) compagni è che Trump è brutto, cattivo e la causa di tutti i problemi del mondo. Più successi infila The Donald più la tesi è difficile da sostenere. In questi giorni tutti i titoli sono per i nuovi dazi minacciati alla Cina. Crediamo che la mossa vada letta nel quadro del dopo-Singapore. Dopo aver aperto il negoziato con Kim, Trump fa pressione sul suo azionista di maggioranza per portare a casa l’accordo sul nucleare. Certo, Trump è spregiudicato. Ma perché, Xi e Putin non lo sono?

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BOTTOM LINE


Dopo otto anni spesi a blindare banche e imprese con un carico sempre crescente di regole e imposizioni per evitare la prossima crisi, da novembre 2016 l’America ha voltato pagina e sta provando a liberare gli spiriti animali dell’economia capitalista. L’Europa insiste nella vecchia ricetta con la distanza tra le élites al potere ed elettori che si allarga come l’Oceano Atlantico che la separa sempre più dall’America. Se oggi Cristoforo Colombo dovesse ritentare la storica impresa forse non scoprirebbe mai il nuovo mondo.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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