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L’inflazione viaggia sui tir dei camionisti USA

La ripresa ha gonfiato il trasporto su gomma proprio mentre l’industria di settore tagliava. E ora i costi potrebbero trasferirsi su tutta la catena, fino al consumatore, in una fase delicata per la Fed.

27 Febbraio 2018 07:50
financialounge -  inflazione Morning News settore alimentare settore trasporti USA

Da Seattle, stato di Washington, estremo Nord Ovest degli States, a Boca Raton, Florida, estremo Sud Est, sono 3.300 miglia, oltre 5.300 km, circa 48 ore di guida ininterrotta. Si può prendere la Interstate 90, passando per le nevi del Montana, o un po’ più sotto la Interstate 80, che taglia per l’Idaho. Da entrambe le destinazioni partono le merci made in USA dirette oltreoceano, il Pacifico nel primo caso e l’Atlantico nel secondo. A portarle fino alle banchine dei porti sono i truck driver, i camionisti che percorrono le sterminate autostrade d’America e che nella narrativa dell’era Trump hanno preso il posto di Joe the Plumber, l’idraulico dell’era Bush.

Ma ora c’è un problema, che sta impattando l’intera economia a stelle e strisce, già segnalato recentemente da FinanciaLounge. Di Jack the Truck Driver non ce n’è abbastanza per sostenere l’aumento del traffico merci che la ripresa economica ha messo in moto. E se i camionisti scarseggiano, il prezzo del trasporto su gomma sale, perché quelli che lavorano chiedono di essere pagati di più, e per il gioco della domanda e dell’offerta ottengono quello che vogliono. Ma ora l’impatto si sta riversando su tutta la catena produttiva e distributiva della grande economia americana, andando a far crescere i costi di colossi come General Mills o Hormel Foods Corp, che a loro volta potrebbero decidere di recuperare i margini perduti sui prezzi finali andando a incidere, in ultima battuta, sull'inflazione.

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Reuters è andata a intervistare I top executive dei grandi gruppi nel settore alimentare, dei beni di consumo e delle commodity, per scoprire che molti sono alle prese con margini in contrazione a causa di un costo dei trasporti che viaggia a una velocità doppia rispetto all’inflazione. Due su 10 hanno in programma di alzare i prezzi, mentre un terzo sta valutando se trasferire i maggiori costi sui prezzi al dettaglio, vale a dire polli, cereali e snack. Il tutto mentre l’inflazione sta rialzando la testa di suo, mettendo in allarme il mercato azionario che teme una Fed più aggressiva nei rialzi dei tassi di interesse.

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Finora le grandi compagnie di trasporto su gomma, come CSX Corp e Norfolk Southern, ma anche le ferrovie, come Union Pacific, hanno preferito continuare a tagliare i costi per aumentare i margini e quindi gli utili, infatti i rispettivi titoli sono aumentati del 22% a Wall Street nell’ultimo anno. Ma a farne le spese è l’intera Corporate America. L’ondata di rialzi dei prezzi al consumo dovrebbe arrivare nella seconda metà dell’anno. Proprio nel periodo in cui molte previsioni convergono nel prevedere il picco dell’attuale ciclo rialzista del mercato azionario. Bisogna vedere se la Fed di Jay Powell aspetterà di vedere in quanti e di quanto aumenteranno i prezzi o preferirà agire d’anticipo.
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