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Private banking, l’Italia non è un paese per super ricchi

Nel nostro paese la ricchezza è distribuita in maniera più omogenea anche tra i più abbienti: la ricerca di AIPB e The Boston Consulting Group sulle prospettive del settore.

6 Novembre 2017 16:19
financialounge -  AIPB Fabio Innocenzi italia private banking

A pochi giorni dall’inaugurazione del XIII Forum, per il mondo del private banking italiano è giunto il momento di guardarsi allo specchio e confrontarsi con il resto del mondo. L’evento in programma giovedì 9 novembre presso l’Unicredit Pavilion, infatti, avrà un respiro internazionale. Complice una crescita robusta del mercati mondiali, oltre ai record delle economie asiatiche, negli ultimi anni la ricchezza globale è in forte crescita e, secondo le stime, arriverà a 223 triliardi di dollari entro il 2021.

Come quella degli altri paesi europei, la ricchezza italiana cresce a un passo più lento. Secondo lo studio di The Boston Consulting Group, che verrà illustrato in maniera diffusa durante il forum, la ricchezza delle famiglie italiane nel 2016 è arrivata a 4,5 triliardi di dollari (contro i 4,1 del 2011) e nel 2021 arriverà a 5,2 triliardi di dollari. Attualmente, stando alle cifre elaborate dall’Associazione italiana private banking (AIPB), il patrimonio gestito dai private banker italiani è di circa 1 triliardo di dollari. “Guardando alla situazione nelle diverse aree geografiche – ha spiegato Fabio Innocenzi, presidente AIPB – si notano profonde differenze. A livello globale oltre il 50% della ricchezza, entro il 2021, sarà in mano a persone con più di un milione di dollari. Si tratta di un effetto ‘polarizzazione’ che accomuna tutti i paesi, ma in Italia la situazione è diversa. Attualmente l’82% della ricchezza è posseduta da famiglie che non superano il milione di dollari di patrimonio e nel 2021 la quota sarà comunque del 76%. Ciò implica un approccio differente, da parte dei private banker, rispetto agli altri paesi”.

Le differenze non riguardano solamente la concentrazione della ricchezza, ma anche l’asset allocation, ovvero la tipologia di investimenti. “La differenza più rilevante – ha spiegato Gennaro Casale di The Boston Consulting Group – è tra Nord America e Asia. Se nel primo caso il 70% delle risorse è investito nel comparto azionario, in Asia la quota si ferma al 27%. Ciò deriva anche da un fattore demografico: l’età media dei ricchi asiatici è molto più bassa rispetto al resto del mondo. In pratica, in Cina e negli altri paesi dell’Asia gli imprenditori sono ancora nella fase di creazione della ricchezza e, al momento, non si preoccupano di come investirla. Non a caso il 64% della ricchezza, in Asia, è investita in liquidità”.

In Italia le tre classi di investimento – azionario, obbligazionario, liquidità - si equivalgono e secondo le stime nei prossimi anni si dovrebbe assistere a un incremento dell’azionario a scapito dell’obbligazionario, sempre meno redditizio. Il mondo del private italiano ha ancora margini di crescita? Se si guarda alla percentuale di penetrazione dell’86%, la più alta a livello europeo, la risposta potrebbe essere sfavorevole. Ma secondo il presidente di AIPB Innocenzi c’è ancora molto da fare per quanto riguarda la gestione dei patrimoni immobiliari e aziendali, oltre che sulla consulenza evoluta a pagamento.
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