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E se finalmente si fosse risvegliata?

Dal Giappone, alla Cina, agli Stati Uniti, l’inflazione dà segni di vita, perfino in Europa ha toccato il fondo. Se confermata è un’ottima notizia.

18 Settembre 2017 09:37
financialounge -  cina Europa giappone inflazione USA Weekly Bulletin

La seconda settimana dopo il Labor Day è stata molto interessante per quello che ci ha raccontato sullo stato di salute dell’economia globale. Le novità arrivano da oriente, dove sorge il sole.

Giovedì abbiamo appreso che i prezzi alla produzione del Giappone ad agosto hanno segnato un rialzo di quasi il 3%, l’aumento più elevato da ottobre 2008 e l’ottavo consecutivo. L’Abenomics non c’entra, c’entrano i prezzi del carbone e dei prodotti energetici, quelli del rame, dei metalli non ferrosi e dell’acciaio, tutti in aumento a due cifre.

E c’entra la Cina, che divora tutto quello che esce dalla produzione industriale giapponese, dove sempre ad agosto l’inflazione alla produzione corre insieme all’attività manifatturiera. È abbastanza ironico, perché in settimana i titoli di agenzia ci hanno raccontato un’economia cinese in raffreddamento. La produzione industriale aumenta ‘solo’ del 6%, mentre gli economisti si aspettavano un 6,6%, le vendite al dettaglio crescono ‘solo’ del 10,1%, deludendo gli analisti che avevano previsto un 10,5%, e gli investimenti fissi nelle aree urbane hanno viaggiato a un ‘deludente’ 7,8% nei primi otto mesi del 2017, contro attese di una crescita dell’8,2%.

Qualche altro dato ci fa capire che chi parla di rallentamento vive in un altro mondo. La produzione di acciaio è ai record di sempre. La produzione di veicoli ‘new-energy’, elettrici o ibridi, aumenta del 50% al mese. Gli investimenti in infrastrutture hanno ‘rallentato’ al 19,8% nei primi otto mesi dell’anno contro il 20,9% dei primi sette mesi. Sembra proprio che a oriente stiano spuntando i germogli dell’inflazione. Germogli che si sono fatti vedere anche dall’altra parte del pianeta. Ad agosto i prezzi al consumo americani hanno accelerato all’1,9% dall’1,7% di luglio con il tasso core, quello che guarda la Fed, che ha preso ancor più velocità, toccando l’1,7% dall’1,4% del mese prima.

Anche i numeri americani, come quelli giapponesi e cinesi, sono usciti giovedì scorso. Sarà un caso, ma lo stesso giorno il dollaro ha smesso di perdere terreno ed è tornato sotto 1,20 contro l’euro. Anche qui i titoli dei media ci hanno raccontato una storia fuorviante, che il biglietto verde risentiva del sollievo post-uragani e di una escalation coreana tutto sommato molto verbale, anche se Kim continua a lanciare missili. Di fatto, i segnali di un’inflazione globale in movimento hanno risvegliato le attese di nuove mosse sui tassi da parte della Fed.

Martedì e mercoledì si riunisce il FOMC per la sua prima due giorni dopo le vacanze. Alla fine è prevista la conferenza stampa, ma nessuno si aspetta che Janet Yellen si precipiti ad alzare per la terza volta quest’anno. Ma qualcosa potrebbe uscire su tempi e modi del Quantitative Thightnening, che va nella stessa direzione di una stretta sui tassi. Le prossime occasioni la Fed le ha tra fine ottobre e inizio novembre, e infine a dicembre. I germogli di inflazione che stanno spuntando potrebbero non essere episodici.

Per ora infatti è assente la componente petrolio, che con il drammatico calo dei prezzi iniziato nel 2014 ha frenato ogni ripresa dei prezzi. Forse ora si sta risvegliando. Venerdì il WTI ha chiuso la terza settimana consecutiva in rialzo, portandosi a un soffio da $50, mentre il Brent viaggia abbastanza stabilmente sui $55. È un recupero che non ha ancora avuto il tempo di trasmettersi sui prezzi alla produzione e tantomeno al consumo, ma a cominciare dai dati di settembre, che saranno pubblicati a ottobre, potremmo cominciare a vedere qualche effetto, sempre che il trend continui.

Aiutata dal petrolio, l’inflazione americana potrebbe finalmente raggiungere e superare il target della Fed, e incoraggiare una cauta ripresa dei movimenti al rialzo dei tassi, un quartino alla volta. E anche in Europa, dove la deflazione è arrivata dopo ma è stata più dura, potremmo esserci. Sempre giovedì scorso il belga Jan Smets, membro del board della BCE e non noto per essere un falco, se l’è sentita di dichiarare che anche nel Vecchio Continente l’inflazione dovrebbe aver toccato il fondo.

Bottom line. Dopo la crescita stabile e sincronizzata delle principali economie globali sta arrivando anche una ripresa altrettanto sincronizzata dell’inflazione? Se, come sembra, i segnali vengono da oriente, sarebbe veramente una buona cosa, perché tutto è cominciato da lì, prima con il Giappone, e poi con la Cina che ha esportato deflazione in tutto il globo. Sarebbe una bella chiusura del cerchio, anche perché aiuterebbe, grazie a tassi più alti, a sgonfiare un po’ in maniera fisiologica sia i prezzi delle azioni di Wall Street, sia soprattutto quelli dei bond del Tesoro americani.
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