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Andrea Guerra

L’importanza del capitano, ma chi pensa ai marinai?

11 Luglio 2016 00:35
financialounge -  Andrea Guerra bonus dirigenti fiat licenziamenti Luxottica Sergio Marchionne
Sempre più il destino di grandi e grandissime imprese, in tutto il mondo, dipende dalle qualità di chi è al timone. Quanto sia importante scegliere il capo lo dimostra la recente vicenda dell’italiana Unicredit, che ci ha messo molte settimane per trovare in Jean Pierre Mustier il profilo giusto per la sostituzione dell’uscente Federico Ghizzoni.

Avere un capo all’altezza, in grado di prendere decisioni strategiche e di capire in anticipo dove sta andando il mondo è sempre più cruciale per le imprese in tutti i settori in tutto il mondo. Abbiamo visto cosa ha voluto dire per la Fiat trovare sulla sua strada un Sergio Marchionne o per Luxottica perdere improvvisamente un capo di successo come Andrea Guerra o i travagli conosciuti dalle Assicurazioni Generali legati ad avvicendamenti al vertice non sempre programmati e indolori. Allargando lo sguardo al mondo, sicuramente la banca che è uscita meglio di tutte dalla crisi del 2008, J.P. Morgan, deve moltissimo al suo numero uno, Jamie Dimon, che ha visto la tempesta in arrivo prima degli altri ed è riuscito perfino a guadagnarci. Mentre nei casi di grandi banche che soffrono, come Barclays o Deutsche Bank, molto è dovuto alla scelta di capi sbagliati in passato, a cui ora si cerca di rimediare con facce del tutto nuove.

Un capo bravo viene pagato bene. Ne sa qualcosa proprio Dimon il cui stipendio viaggia ben sopra i 20 milioni di dollari l’anno. Ma viene pagato (quasi) altrettanto bene anche il capo meno bravo o meno fortunato, che non riesce a prendere le decisioni giuste, non “vede” il futuro e qualche volta porta perfino la barca a schiantarsi sugli scogli. Il problema è che quando un’azienda assume un capo, magari consigliata dai cacciatori di teste, lo fa “al buio”, nel senso che il compenso è fissato per un periodo di almeno tre anni senza sapere quali saranno i risultati. Se saranno buoni arriveranno bonus generosi, ma anche se saranno un disastro la base della “busta paga” resta comunque milionaria.

Al capo va sempre bene. Ai dipendenti, che sono migliaia nelle grandi aziende, molto meno. Lui rischia il bonus, loro il posto. Mentre se le cose vanno bene non arriva niente o quasi. Al massimo qualche briciola se l’azienda prevede forme di incentivazioni per tutti, come azioni a prezzi scontati. Quando si parla di stakeholder, cioè di tutti quelli che sono interessati ai destini di un’impresa, i dipendenti sono sempre al primo posto, insieme agli azionisti, agli investitori, ai fornitori e ai clienti. Non c’è multinazionale che non proclami nella propria presentazione che “i nostri lavoratori sono il nostro asset principale”. Ma quando c’è da distribuire il frutto del successo per loro non ci sono né bonus, né dividendi. Devono solo remare sperando di non finire sugli scogli.
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