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Brexit

Idee di investimento – Azioni – 27 giugno 2016

27 Giugno 2016 09:27
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Sembra proprio che i fondi sovrani abbiano visto giusto. Infatti, in base ai dati dell’Invesco Global Sovereign Asset Management Study 2016, il quarto rapporto realizzato da Invesco per analizzare i comportamenti di investimento dei fondi sovrani e delle banche centrali, si nota che le preferenze di questi investitori di lunghissimo termine sono andate a favore degli Stati Uniti rispetto al Regno Unito. In particolare, come si legge nell’articolo “Fondi sovrani, ora preferiscono gli Stati Uniti al Regno Unito”, se in passato la Gran Bretagna era il mercato privilegiato per gli investimenti dei fondi sovrani nei paesi maggiormente sviluppati, quest’anno questo ruolo lo hanno assunto Stati Uniti: il punteggio di 6,5 (su dieci) nel 2014 sull’appeal degli USA per i fondi sovrani è salito all’8,2 nel 2016, rispetto al 7,5 del Regno Unito. Non solo. I fondi sovrani rimangono rialzisti sulle opportunità di investimento future negli Stati Uniti, in particolare nel settore delle infrastrutture. I fondi considerano infatti gli Stati Uniti sempre più aperti ai loro investimenti, come conseguenza della percezione positiva espressa dal settore finanziario statunitense nei loro confronti durante la crisi globale.

D’altra parte, i fondi sovrani possono permettersi investimenti di lungo e lunghissimo termine (da 10 anni in su) basati spesso su studi di carattere macro economico. Cioè analizzare come le diverse forze politiche ed economiche possano incidere sui mercati azionari, obbligazionari, valutari e delle materie prime. Questo è anche l’approccio delle strategie d’investimento alternative macro, che perseguono rendimenti di tipo azionario ma con una volatilità inferiore. Il processo d’investimento di queste strategie può seguire un approccio top-down(cioè basato prevalentemente sull’analisi dei dati macro economici) o di tipo bottom-up (ovvero occupandosi dei singoli settori e aziende), facendo spesso affidamento sui derivati ai fini di una efficiente implementazione in portafoglio. Queste strategie, come argomentato nell’articolo “Strategie alternative macro, i frutti dell’analisi politica ed economica”, si prefiggono generalmente di offrire rendimenti costanti in tutti i contesti di mercato e solitamente perseguono nel medio lungo periodo rendimenti di tipo azionario con una volatilità significativamente inferiore a quella tipica di un portafoglio orientato all’equity. Tra gli esempi di strategie macro se ne possono indicare tre di particolare rilievo: Portafogli a rischio bilanciato, Global macro, e Futures gestiti. In virtù delle loro specifiche caratteristiche, le strategie alternative macro possono essere usate come allocazione core oppure come elemento di diversificazione per un portafoglio più tradizionale. Nel primo caso stabilizzano le fondamenta dell’investimento alle quali si possono aggiungere fondi e strategie specializzate sia di tipo tradizionale che alternative mentre nel secondo impiego svolgono un ruolo di ottimizzazione della diversificazione delle fonti di rendimento corrette per il rischio.

Nel frattempo, occorre fare i conti con la Brexit che ha mandato in tilt i mercati finanziari di tutto il mondo. Secondo gli esperti di Credit Suisse, esiste la possibilità di un ricorso all’articolo 50 del trattato sull’Unione europea che permette di negoziare condizioni migliori per il Regno Unito all’interno dell’UE sospendendo tra i 6 e i 12 mesi l’uscita decisa dal referendum: si renderebbe però necessario, quasi certamente, un nuovo referendum alla fine del 2017. Come indicato nell’articolo “Referendum UK, ecco cosa potrebbe succedere”, si stima che il PIL del Regno Unito possa registrare un forte calo (fino ad una contrazione dell’1% nel 2017) e un trend di crescita fino al 2020 in diminuzione di circa un terzo rispetto alle attuali aspettative. La Banca d’Inghilterra potrebbe riavviare il QE (quantitative easing) e il rendimento dei titoli di stato inglesi (Gilt) potrebbe finire al di sotto dei 100 punti base (1,0%). Anche l’area euro sarebbe impattata perdendo circa lo 0,2% del PIL quest’anno e un punto percentuale di crescita l’anno prossimo: l’aumento previsto del PIL della zona euro si attesterebbe pertanto all’1,5% quest’anno e all’1% nel 2017. A livello valutario il fixing Gbp / Usd (sterlina / dollaro Usd) dovrebbe attestarsi a 1,20 – 1,30, quello euro / Usd a 1,05-1,10 mentre il cambio franco svizzero / euro potrebbe finire vicino alla parità. Gli esperti di Credit Suisse hanno poi rivisto, al ribasso, tutte le stime degli indici azionari a fine anno in caso di Brexit. L’obiettivo del FTSE 100 di Londra per fine dicembre 2015 è spostato a 6.200 (dai 6.600 punti precedentemente previsti), quello dell’ S&P500 a 2.000 punti (dai precedenti 2.150) e l’Euro Stoxx 50 a 2.950 punti (rispetto ai 3.350 punti stimati in precedenza). Inoltre è probabile che il FTSE 250 (il paniere delle piccole e medie imprese inglesi) registri performance inferiori tra il 10% e i 15% rispetto al FTSE 100 a causa della debolezza della sterlina e del calo del giro d’affari delle PMI.

In attesa di conoscere se questi livelli stimati degli indici saranno rispettati, cosa fare? Secondo gli analisti di una banca d’affari svizzera il settore delle materie prime continuerà a soffrire per il resto di quest’anno e nel 2017 portando il tasso di default dei titoli high yield USA tra il 5% e il 5,5% entro il secondo trimestre 2017. Alla luce di queste previsioni, gli analisti dell’istituto svizzero consigliano un posizionamento sul credito di più alta qualità (in termini di rating) e nelle large cap azionarie. La scelta a favore delle large cap rispetto alle small cap si basa, come spiegato nell’articolo “Perché sono da preferire le large cap e il credito di più alta qualità”, sul deterioramento dei fondamentali del credito che sta causando un pronunciato aumento della leva finanziaria e un calo della copertura degli oneri finanziari delle small cap. Inoltre, le small cap, in base per esempio all’indice Russell 2000, evidenziano una elevata concentrazione nei finanziari.
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