fondi comuni
Fondi comuni, la sicurezza non dipende dalla solidità della banca
12 Aprile 2016 09:18
orni scorsi una delle reti italiane di promotori finanziari di un importante gruppo bancario ha comunicato, con una certa enfasi, che a marzo la raccolta netta era stata di oltre 500 milioni di euro permettendogli di chiudere uno dei migliori trimestri della sua storia. A commento di tale performance, peraltro ottenuta in un trimestre tra i più difficili sui mercati finanziari internazionali e durante il quale è aumentata l’avversione al rischio da parte degli investitori, il management citava la tendenza dei risparmiatori a scegliere le banche più solide dal punto di vista patrimoniale (quelle con il CET1, Common equity tier 1, più elevato, ovvero con il coefficiente di patrimonializzazione più consistente) per essere rassicurati sui propri risparmi.
A questo proposito è necessario ribadire che non esiste nessuna relazione tra la solidità della banca e la sicurezza dei fondi comuni e dei comparti di sicav venduti in banca: il patrimonio di questi prodotti del risparmio gestito è infatti isolato al 100% da quello delle banche che li collocano sul mercato.
Ripercorriamo insieme i passaggi che spiegano questa importante distinzione. Le famiglie italiane, soprattutto dopo quanto è accaduto a inizio anno alle quattro banche salvate dal fallimento (Cariferrara, Carichieti, Banca Marche e Banca Etruria) sono ora giustamente molto più sensibili ai pericoli che possono coinvolgere (fino ad azzerarli) i loro risparmi ed è normale che si informino sulla solidità della banca dove aprono un conto corrente o un deposito bancario, oppure della quale acquistano obbligazioni e azioni.
Tuttavia, come abbiamo scritto nell’articolo “Fondi comuni e Sicav sono sempre esclusi dal bail-in”, i fondi comuni e le Sicav vendute in banca non rientrano in nessun modo nella procedura di bail-in, che prevede, in caso di fallimento della banca, l’azzeramento delle azioni e delle obbligazioni meno garantite (junior). Nel momento in cui si sottoscrive un fondo comune o una sicav in banca (o presso un intermediario autorizzato) il risparmiatore versa l’importo alla banca che svolge un ruolo di intermediario tra il cliente (risparmiatore) e la società di gestione (Sgr italiana o casa d’investimento estera). Non solo. Il versamento, in realtà, non finisce neppure alla società di gestione ma viene accreditato su uno speciale conto della Banca Depositaria che svolge un ruolo di «notaio»: garantisce cioè la correttezza giuridica delle operazioni in entrata (sottoscrizione) e in uscita (disinvestimento) relative al fondo e, al contempo, assicura l’assoluta separatezza tra il patrimonio del fondo e quello della società di gestione e della banca collocatrice.
Questo meccanismo di garanzie e protezioni a compartimenti stagni, fa si che, nel caso in cui dovesse scattare il salvataggio della banca che ha venduto le quote del fondo o della sicav, le quote del cliente bancario non possono mai essere toccate, nemmeno se si superano i 100 mila euro di controvalore. Non solo. Il fatto che il patrimonio del fondo comune e delle Sicav sia separato da quello della casa d’investimento garantisce che anche in caso di fallimento della società di gestione non ci possano essere ripercussioni alcune sul patrimonio del fondo (nel suo insieme) e, a cascata, su quello del singolo sottoscrittore.
A questo proposito è necessario ribadire che non esiste nessuna relazione tra la solidità della banca e la sicurezza dei fondi comuni e dei comparti di sicav venduti in banca: il patrimonio di questi prodotti del risparmio gestito è infatti isolato al 100% da quello delle banche che li collocano sul mercato.
Ripercorriamo insieme i passaggi che spiegano questa importante distinzione. Le famiglie italiane, soprattutto dopo quanto è accaduto a inizio anno alle quattro banche salvate dal fallimento (Cariferrara, Carichieti, Banca Marche e Banca Etruria) sono ora giustamente molto più sensibili ai pericoli che possono coinvolgere (fino ad azzerarli) i loro risparmi ed è normale che si informino sulla solidità della banca dove aprono un conto corrente o un deposito bancario, oppure della quale acquistano obbligazioni e azioni.
Tuttavia, come abbiamo scritto nell’articolo “Fondi comuni e Sicav sono sempre esclusi dal bail-in”, i fondi comuni e le Sicav vendute in banca non rientrano in nessun modo nella procedura di bail-in, che prevede, in caso di fallimento della banca, l’azzeramento delle azioni e delle obbligazioni meno garantite (junior). Nel momento in cui si sottoscrive un fondo comune o una sicav in banca (o presso un intermediario autorizzato) il risparmiatore versa l’importo alla banca che svolge un ruolo di intermediario tra il cliente (risparmiatore) e la società di gestione (Sgr italiana o casa d’investimento estera). Non solo. Il versamento, in realtà, non finisce neppure alla società di gestione ma viene accreditato su uno speciale conto della Banca Depositaria che svolge un ruolo di «notaio»: garantisce cioè la correttezza giuridica delle operazioni in entrata (sottoscrizione) e in uscita (disinvestimento) relative al fondo e, al contempo, assicura l’assoluta separatezza tra il patrimonio del fondo e quello della società di gestione e della banca collocatrice.
Questo meccanismo di garanzie e protezioni a compartimenti stagni, fa si che, nel caso in cui dovesse scattare il salvataggio della banca che ha venduto le quote del fondo o della sicav, le quote del cliente bancario non possono mai essere toccate, nemmeno se si superano i 100 mila euro di controvalore. Non solo. Il fatto che il patrimonio del fondo comune e delle Sicav sia separato da quello della casa d’investimento garantisce che anche in caso di fallimento della società di gestione non ci possano essere ripercussioni alcune sul patrimonio del fondo (nel suo insieme) e, a cascata, su quello del singolo sottoscrittore.
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