italia
Banche, perchè l'unione fa la forza e diminuisce i rischi
28 Marzo 2016 00:01

o non è più bello per le banche italiane. Ma neanche troppo grande funziona. Il problema non è la dimensione, ma l’efficienza e la capacità di stare in piedi anche in condizioni avverse.
A 14 mesi dal decreto del governo Renzi per trasformare le banche popolari in società per azioni qualcosa si sta veramente muovendo nella palude del sistema creditizio italiano. Due tra le più grandi di quelle popolari, BPM e Banco Popolare, hanno raggiunto l’accordo per fondersi dando vita al terzo gruppo italiano dopo Intesa e Unicredit. Sono dovute passare sotto le forche caudine della vigilanza europea, ma non hanno gettato la spugna – il che sarebbe equivalso a un disastro per un sistema già molto provato. E ora si apre la strada per altre aggregazioni, a questo punto sotto gli auspici della stessa vigilanza europea guidata dalla occhiuta Daniéle Nouy.
Ma perché le banche italiane devono fondersi? Perché, come ha spiegato qualche giorno fa la Banca d’Italia e soprattutto come hanno dimostrato i fatti drammatici delle quattro banche salvate a fine 2015 lasciando sul terreno come vittime azionisti e obbligazionisti, da sole sono troppo piccole e fragili, e non stanno in piedi. Nel mirino della banca centrale italiana soprattutto una cinquantina di banche di credito cooperativo, protette da statuti che con l’unione bancaria europea non proteggono più nessuno.
Più di ogni altra industria, quella bancaria, soprattutto in tempi di digitalizzazione diffusa, ha bisogno di un po’ di economie di scala per stare in piedi. Non è che devono diventare tutti colossi, anche perché la grande dimensione ha i suoi problemi. Ma devono essere abbastanza grandi da realizzare efficienza dei costi e smaltire il problema dei problemi delle banche italiane. Che in gergo si chiama NPL, sta per l’inglese Non Performing Loans, ma molto semplicemente vuol dire che i soldi prestati – sotto forma di mutui, finanziamenti alle imprese, etc. – non tornano indietro. Una piccola banca non ce la fa ad andare avanti con una palla al piede di questo tipo, magari se unisce le forze ci riesce.
Ma perché è diventato così importante che le banche ce la facciano da sole e non falliscano? Perché, in seguito alle nuove norme europee, se falliscono le conseguenze le pagano tutti, gli azionisti ovviamente e anche giustamente, ma poi chi ne ha comprato le obbligazioni fino a chi ha depositi oltre una certa cifra. Il caso delle quattro banche salvate – Marche, Chieti, Ferrara e Etruria – è lì a ricordarcelo. E se crescere vorrà dire qualche poltrona in meno in Consiglio di Amministrazione perchè di Consigli ce ne saranno di meno, gli interessati se ne faranno una ragione
A 14 mesi dal decreto del governo Renzi per trasformare le banche popolari in società per azioni qualcosa si sta veramente muovendo nella palude del sistema creditizio italiano. Due tra le più grandi di quelle popolari, BPM e Banco Popolare, hanno raggiunto l’accordo per fondersi dando vita al terzo gruppo italiano dopo Intesa e Unicredit. Sono dovute passare sotto le forche caudine della vigilanza europea, ma non hanno gettato la spugna – il che sarebbe equivalso a un disastro per un sistema già molto provato. E ora si apre la strada per altre aggregazioni, a questo punto sotto gli auspici della stessa vigilanza europea guidata dalla occhiuta Daniéle Nouy.
Ma perché le banche italiane devono fondersi? Perché, come ha spiegato qualche giorno fa la Banca d’Italia e soprattutto come hanno dimostrato i fatti drammatici delle quattro banche salvate a fine 2015 lasciando sul terreno come vittime azionisti e obbligazionisti, da sole sono troppo piccole e fragili, e non stanno in piedi. Nel mirino della banca centrale italiana soprattutto una cinquantina di banche di credito cooperativo, protette da statuti che con l’unione bancaria europea non proteggono più nessuno.
Più di ogni altra industria, quella bancaria, soprattutto in tempi di digitalizzazione diffusa, ha bisogno di un po’ di economie di scala per stare in piedi. Non è che devono diventare tutti colossi, anche perché la grande dimensione ha i suoi problemi. Ma devono essere abbastanza grandi da realizzare efficienza dei costi e smaltire il problema dei problemi delle banche italiane. Che in gergo si chiama NPL, sta per l’inglese Non Performing Loans, ma molto semplicemente vuol dire che i soldi prestati – sotto forma di mutui, finanziamenti alle imprese, etc. – non tornano indietro. Una piccola banca non ce la fa ad andare avanti con una palla al piede di questo tipo, magari se unisce le forze ci riesce.
Ma perché è diventato così importante che le banche ce la facciano da sole e non falliscano? Perché, in seguito alle nuove norme europee, se falliscono le conseguenze le pagano tutti, gli azionisti ovviamente e anche giustamente, ma poi chi ne ha comprato le obbligazioni fino a chi ha depositi oltre una certa cifra. Il caso delle quattro banche salvate – Marche, Chieti, Ferrara e Etruria – è lì a ricordarcelo. E se crescere vorrà dire qualche poltrona in meno in Consiglio di Amministrazione perchè di Consigli ce ne saranno di meno, gli interessati se ne faranno una ragione
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