asset allocation
Bisogna allungare la vita anche agli investimenti
13 Dicembre 2015 23:55

go si chiama asset allocation. Vuol dire come distribuire al meglio i propri risparmi tra i diversi strumenti finanziari: azioni, obbligazioni, liquidità, etc. È importante perchè dalle scelte che si fanno oggi dipende come vivremo domani. Un domani che si allunga sempre di più. Le aspettative di vita nei paesi sviluppati viaggiano ormai sugli ottanta e oltre. Bisogna arrivarci bene, anche perchè la vecchiaia purtroppo costa. E qui entra in gioco appunto l'asset allocation. Dal punto di vista delle attese, e anche dello stile di vita, un settantenne di oggi equivale a un 50-60enne di vent'anni fa. E anche la prospettiva di rendimento dei suoi investimenti deve allungarsi, altrimenti possono essere guai. Rendimento, ecco un altro problema nel mondo di oggi che propone tassi di interesse sui titoli di Stato intorno allo zero, se non sotto, in Europa, ma anche in Giappone e in America.
Una volta c’era una regola abbastanza sicura per l’asset allocation, inventata ovviamente a Wall Street. Era il buon vecchio 60/40, la prima parte prevalente in azioni e la seconda in obbligazioni, che con il passare degli anni e l’arrivo della terza età vedeva ridursi il 60 gradualmente e incrementarsi il 40 fino a invertire il rapporto e anche oltre. Praticamente, con l’avvicinarsi della pensione, si riduceva il rischio e si puntava sul rendimento, poco ma sicuro, per accompagnare un approdo tranquillo alla vecchiaia. Oggi gli esperti ritengono che la vecchia regola non funzioni più. Andava bene una generazione fa, oggi non funziona e potrebbe diventare persino rischiosa. Perché? Giocano contro due serie di fattori, uno di breve e uno di lungo termine.
Quello di breve – e anche qui non sappiamo quanto breve – sono i tassi di interesse drammaticamente bassi, che sconsigliano di tenere troppe obbligazioni. Quello di lungo è appunto il drammatico allungamento delle aspettative di vita. Una volta con i titoli di stato si poteva contare su almeno un 5% l’anno. Su 100.000 euro vuol dire 5.000, da aggiungere magari ad altri 5.000 di dividendi dalla parte azionaria del portafoglio. E aggiungere ogni anno alla pensione altri 10.000 da redditi da capitale. Oggi portare a casa 2.000 euro puliti dalla cedola su 100.000 euro di titoli di stato comincia a essere un problema. Che potrebbe essere però bilanciato da 8.000 provenienti da dividendi. Ma questo vuol dire sconvolgere la regola del 60/40 e far comportare un settantenne come un quarantenne, in termini finanziari ovviamente.
Sì, perchè se si continua ad andare in pensione attorno ai 60 anni e le aspettative di vita sono di 80 vuol dire che bisogna riuscire a mantenersi decentemente per almeno altri 20 anni, inclusi gli imprevisti sanitari che a una certa età aumentano. E magari pensando a integrare il reddito di figli e nipoti. Qualcuno suggerisce di allargare la definizione di reddito fisso a strumenti che non sono obbligazioni ma che possono svolgere una funzione similare nel medio lungo periodo. Come ad esempio i fondi azionari globali reddito, che investono in tutto il mondo in titoli azionari che pagano dividendi di una certa consistenza (intorno al 3% e più) e che, soprattutto, possono sostenere negli anni queste cedole e, magari, anche incrementarle. È vero che l’azionario è più rischioso, ma è anche vero che sulla lunga distanza i dividendi solidi consentono di ammortizzare le oscillazioni di breve periodo tipiche degli andamenti borsistici.
E qui abbiamo un’altra conseguenza dell’effetto combinato di allungamento delle attese di vita e dei tassi di interesse bassissimi. All’investitore, anche di una certa età, si richiede sempre più di essere un soggetto attivo, e non passivo, della gestione dei risparmi. Non c’è più la possibilità di tirare i remi in barca, come si poteva fare quando la quota di titoli di stato della propria asset allocation cresceva con il passare degli anni e bastava tenerli sul conto titoli, incassare la cedola e reinvestirli a scadenza. Investire sulle azioni richiede tempo, attenzione, e ricorso a consulenti esperti. A differenza dei titoli di stato, non tutte le azioni sono uguali, bisogna sceglierle bene altrimenti si rischia di restare senza dividendo e nei casi estremi anche senza capitale. E quindi, anche a chi ha i capelli bianchi, è richiesta una maggiore tolleranza al rischio. Vale a dire nervi saldi per sostenere perdite durante gli sbandamenti di mercato che, se non si vende in preda al panico, restano tali solo sulla carta. E saper aspettare. Tanto il tempo c’è, la vita è diventata molto, molto più lunga.
Una volta c’era una regola abbastanza sicura per l’asset allocation, inventata ovviamente a Wall Street. Era il buon vecchio 60/40, la prima parte prevalente in azioni e la seconda in obbligazioni, che con il passare degli anni e l’arrivo della terza età vedeva ridursi il 60 gradualmente e incrementarsi il 40 fino a invertire il rapporto e anche oltre. Praticamente, con l’avvicinarsi della pensione, si riduceva il rischio e si puntava sul rendimento, poco ma sicuro, per accompagnare un approdo tranquillo alla vecchiaia. Oggi gli esperti ritengono che la vecchia regola non funzioni più. Andava bene una generazione fa, oggi non funziona e potrebbe diventare persino rischiosa. Perché? Giocano contro due serie di fattori, uno di breve e uno di lungo termine.
Quello di breve – e anche qui non sappiamo quanto breve – sono i tassi di interesse drammaticamente bassi, che sconsigliano di tenere troppe obbligazioni. Quello di lungo è appunto il drammatico allungamento delle aspettative di vita. Una volta con i titoli di stato si poteva contare su almeno un 5% l’anno. Su 100.000 euro vuol dire 5.000, da aggiungere magari ad altri 5.000 di dividendi dalla parte azionaria del portafoglio. E aggiungere ogni anno alla pensione altri 10.000 da redditi da capitale. Oggi portare a casa 2.000 euro puliti dalla cedola su 100.000 euro di titoli di stato comincia a essere un problema. Che potrebbe essere però bilanciato da 8.000 provenienti da dividendi. Ma questo vuol dire sconvolgere la regola del 60/40 e far comportare un settantenne come un quarantenne, in termini finanziari ovviamente.
Sì, perchè se si continua ad andare in pensione attorno ai 60 anni e le aspettative di vita sono di 80 vuol dire che bisogna riuscire a mantenersi decentemente per almeno altri 20 anni, inclusi gli imprevisti sanitari che a una certa età aumentano. E magari pensando a integrare il reddito di figli e nipoti. Qualcuno suggerisce di allargare la definizione di reddito fisso a strumenti che non sono obbligazioni ma che possono svolgere una funzione similare nel medio lungo periodo. Come ad esempio i fondi azionari globali reddito, che investono in tutto il mondo in titoli azionari che pagano dividendi di una certa consistenza (intorno al 3% e più) e che, soprattutto, possono sostenere negli anni queste cedole e, magari, anche incrementarle. È vero che l’azionario è più rischioso, ma è anche vero che sulla lunga distanza i dividendi solidi consentono di ammortizzare le oscillazioni di breve periodo tipiche degli andamenti borsistici.
E qui abbiamo un’altra conseguenza dell’effetto combinato di allungamento delle attese di vita e dei tassi di interesse bassissimi. All’investitore, anche di una certa età, si richiede sempre più di essere un soggetto attivo, e non passivo, della gestione dei risparmi. Non c’è più la possibilità di tirare i remi in barca, come si poteva fare quando la quota di titoli di stato della propria asset allocation cresceva con il passare degli anni e bastava tenerli sul conto titoli, incassare la cedola e reinvestirli a scadenza. Investire sulle azioni richiede tempo, attenzione, e ricorso a consulenti esperti. A differenza dei titoli di stato, non tutte le azioni sono uguali, bisogna sceglierle bene altrimenti si rischia di restare senza dividendo e nei casi estremi anche senza capitale. E quindi, anche a chi ha i capelli bianchi, è richiesta una maggiore tolleranza al rischio. Vale a dire nervi saldi per sostenere perdite durante gli sbandamenti di mercato che, se non si vende in preda al panico, restano tali solo sulla carta. E saper aspettare. Tanto il tempo c’è, la vita è diventata molto, molto più lunga.
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