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Brexit

Germania, tra recupero di produttività e rischio Brexit

10 Novembre 2015 10:21
financialounge -  Brexit Carlo Benetti GAM germania
Benchè la Germania resti saldamente al centro dell’Europa, si cominciano a vedere le crepe in un sistema che, di fatto, dal 2010 non ha fatto riforme limitandosi a tagliare i costi e a puntare tutto sul traino delle esportazioni. Non solo. Se a questo «gap» si aggiungono tutti i pericoli che comportano i potenziali esisti del futuro referendum inglese sull’adesione all’Europa, ecco allora che il quadro sulla Germania risulta molto meno solido di quanto si possa pensare.

Lo sottolinea nel commento analitico l’Alpha e il Beta del 9 novembre Carlo Benetti, Head of Market Research & Business Innovation di GAM Italia Sgr, secondo il quale troppi anni di sottoinvestimenti costringono oggi l’economia tedesca a fare i conti con la necessità di trasformazione e adattamento alla «nuova normalità», a diminuire la dipendenza dalle esportazioni e recuperare posizioni anche sul terreno un tempo familiare della produttività.

“La maggiore competitività delle merci tedesche è avvenuta grazie alla compressione dei costi e non con avanzamenti di produttività. Con la conseguenza che, se la stagnazione dei salari è buona per i bilanci di una azienda, è certamente dannosa per le prospettive di lungo termine di una comunità o un paese “ sostiene Carlo Benetti che, pur ammettendo che la Germania sia stata fortunata nello «scommettere» sull’export di beni capitali, meccanica, chimica, merci di cui le economie a forte crescita (Cina e dei paesi emergenti) avevano straordinario bisogno, ora è un paese che si specchia nel rallentamento cinese vedendo le radici della propria debolezza.

La vicenda Volkswagen e i dubbi sulle banche non sono che spie di un sistema che sta dimostrando i suoi limiti. Coloro che attribuiscono gli squilibri globali e i rischi di stagnazione secolare all’eccesso di risparmio chiamano sul banco degli imputati Cina e Germania che hanno spinto la crescita a spese dei consumi interni. Con il raggiungimento di livelli produttivi superiori alla necessità (ad esempio nell’acciaio), la Cina è diventata motivo di preoccupazione per quelle economie sbilanciate sulle esportazioni di materie prime o prodotti di consumo. Gli Stati Uniti hanno reagito con la spesa pubblica e le politiche monetarie non convenzionali ma l’Europa, che ha seguito il modello dei conti pubblici in ordine, fa più fatica. In settembre gli ordini e la produzione industriale tedeschi sono stati peggiori delle attese e proiettano l’ombra del rallentamento sul terzo trimestre. Non sono segnali di contrazione ma certo aumenta l’attenzione sulla dinamica del settore industriale nell’economia più forte dell’Eurozona.

Sullo sfondo, inoltre, incombe il pericolo Brexit. L’Europa e la sua tenuta devono infatti fare i conti anche con la bomba ad orologeria che è il referendum inglese sulla eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. “La Cancelliera ha bisogno della Gran Bretagna, prezioso alleato nelle politiche del rigore e dovrà dosare con sapiente equilibrio le concessioni che Cameron chiederà per far restare la Gran Bretagna nell’Unione. Ma la qualità e quantità di quelle concessioni rappresenteranno altrettanti rischi al progetto di integrazione in un passaggio storico in cui solo un’Europa forte, nella politica come nell’economia, può ambire alla competizione con le altre grandi aree economiche globali” puntualizza Carlo Benetti secondo il quale Berlino deve riequilibrare la propria economia per evitare «un futuro triste quanto quello che aspetta la Volkswagen» (come ha scritto Alessandro Penati): senza una Germania sicura di sé e del proprio ruolo, l’Europa non potrà compiere i necessari passi avanti nel processo di integrazione.
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