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Idee di Investimento - Obbligazioni - 1 giugno 2015

1 Giugno 2015 09:30

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o conto che il settore privato e aziendale sta mostrando un buon andamento sia nel Vecchio Continente che negli Stati Uniti, sembrerebbero esserci le condizioni per riposizionarsi sul credito approfittando dei rendimenti più generosi, rispetto a un mese fa.
Il rialzo dei rendimenti obbligazionari da metà aprile ha infatti raffreddato i pericoli di una profonda correzione dei bond anche se il team fixed income di BlackRock, nell’articolo “Bond, ora le opportunità d’investimento sono migliorate”, preferisce mettere in guardia gli investitori: “Per il 2015, la combinazione del continuo bisogno di fonti di rendimento, un’inflazione ancora smorzata e i rendimenti ai minimi (o, addirittura sottozero) per il reddito fisso di alta qualità per effetto delle politiche monetarie delle banche centrali europee e giapponesi, dovrebbe continuare a fornire supporti strutturali per il credito. Gli spread a questi livelli appaiono più o meno in linea con il punto in cui siamo del ciclo delle banche centrali. Tuttavia, nel breve termine, ci sentiamo di suggerire maggiore cautela agli investitori obbligazionari. Il positivo rendimento in eccesso da inizio anno rispetto ai governativi, soprattutto per quanto riguarda il segmento Investment grade negli Stati Uniti, potrebbe risultare vulnerabile al possibile rialzo dei tassi da parte della Fed”.

La massima attenzione alle mosse delle banche centrali resta, infatti, una condizione indispensabile per qualsiasi consulente finanziario. Il Quantitative Easing, per esempio, ha molti aspetti positivi per tante buone ragioni ma ha la controindicazione di portare, come ha ricordato lo stesso Mario Draghi, «inevitabilmente a una cattiva allocazione delle risorse»: ovvero spinge ad alterare i rapporti di rischio rendimento delle diverse attività. Carlo Benetti, Head of Market Research & Business Innovation di Swiss & Global, nell’articolo “Come investire ai tempi del Quantitative Easing” offre questa soluzione: “In primis è necessario vincere l’abitudine alla detenzione passiva di titoli obbligazionari in portafoglio. Siamo in un ambiente in cui anche la componente obbligazionaria deve essere gestita attivamente, diversificando tra emittenti governativi e societari, «investment grade» e ad elevato rendimento (più in Europa che negli Stati Uniti), selezionando opportunamente rendimenti e valute emergenti, impiegando strategie «relative value» e giocando con i break even di rendimenti legati all’inflazione” rivela Carlo Benetti sottolineando come si tratti di operazioni da non ripetere a casa da soli ma da lasciar fare ad esperti, utilizzando strategie diversificate su più classi di attivo con obiettivo di rendimento assoluto.

A proposito di valute emergenti, secondo Patrick Zweifel, Chief Economist di Pictet Asset Management, si stanno configurando almeno tre importanti fattori capaci di supportare le divise dei paesi in via di sviluppo nei prossimi anni: dal previsto aumento delle esportazioni dalle aree emergenti ai flussi di investimento esteri, fino alle riforme strutturali in atto in molti paesi emergenti. “Con questo non intendiamo dire che la ripresa delle divise emergenti sarà veloce e lineare. Nei prossimi anni gli investitori assisteranno probabilmente a una notevole divergenza fra le singole monete. Ciononostante, le valute dei Paesi emergenti dovrebbero guadagnare rispetto al dollaro un 4% annuo nell’arco di cinque anni, a cominciare da quelle asiatiche. Il trend di lungo periodo consiste quindi nel vigore e non nella debolezza delle valute delle economie emergenti” puntualizza Patrick Zweifel nell’articolo “Valute emergenti, i 3 fattori che le faranno risalire”.

Restando nell’ambito degli emerging markets, secondo Paul McNamara, gestore del JB Local Emerging Bond Fund di GAM Italia, "le opportunità più interessanti si trovano nei Paesi con un’inflazione media o alta, che sono meno a rischio di pressioni deflazionistiche” puntualizza Paul McNamara nell’articolo “Debito dell’Asia, ecco gli impatti del rialzo dei tassi USA”, che poi entra nello specifico di Turchia e India: “Le scelte in materia di politica interna fatte da ciascun Paese vanno comunque prese in considerazione. La Turchia, in qualità di importatore di commodity e di esportatore verso l’Europa, dovrebbe essere avvantaggiata dallo scenario globale. Tuttavia, con la sua Banca Centrale sottoposta alla crescente pressione di dover mantenere i tassi di interesse bassi e con un deficit della bilancia dei pagamenti che si sta sempre più ampliando, il suo outlook è invece totalmente legato alla politica. Al contrario, l’India ha sistemato con successo il deficit delle partite correnti e non c’è adesso nulla che ostacoli una discreta ripresa della crescita”.

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