Alibaba
International Editor’s Picks - 17 marzo 2014
17 Marzo 2014 09:30

zio anno gli esperti avvertono che il percorso delle Borse globali sarà piuttosto accidentato nel 2014, anche se l’impostazione rialzista rimane solida. Quindi bisogna stare attenti a evitare le buche più dure. USA Today del 12 marzo segnala un indicatore da tenere d’occhio: il debito accumulato per comprare azioni al margine. In America esistono regole precise per queste operazioni. Il broker deve avere in mano almeno il 25% della posizione che finanzia per il suo cliente in cash o altri strumenti liquidi. Se il valore dei titoli scende troppo, liquida in proporzione la posizione, si chiama margin call. E per farlo non ha bisogno che il cliente lo autorizzi. Se il mercato va giù di colpo, l’effetto a catena può essere micidiale. A fine gennaio il totale del debito contratto per comprare azioni a Wall Street è a un nuovo record dopo essere salito ininterrottamente per sette mesi: più di 450 miliardi di dollari. Secondo i dati del NYSE riportati da USA Today siamo in una situazione simile ai picchi del 2007 o della primavera del 2000. Non vuol dire per forza che una correzione sia imminente, però potrebbe essere salutare. Più in alto ti porta la leva e più è elevato il rischio di farsi male se cadi.
Arriva Alibaba a Wall Street. Secondo il Financial Times di sabato il colosso cinese dell’e-commerce ha intenzione di lanciare un’IPO che potrebbe rompere tutti i record e superare per valore quelle di Visa e di Facebook. Si parla infatti di una valutazione complessiva di Alibaba intorno ai 120 miliardi di dollari e di un collocamento a due cifre, tra i 15 e i 20 miliardi. L’impatto potrebbe essere molto positivo per l’intero settore internet americano. È vero che Aliababa è un concorrente globale di Amazon e Ebay, ma è anche vero che alcuni dei suoi principali azionisti, che dell’IPO potrebbero beneficiare molto, non sono cinesi. Yahoo comprò nel 2005 il 40% di Alibaba per 1 miliardo di dollari, che a alle valutazioni odierene moltiplicherebbe il suo valore per 50 volte. Festeggerebbe anche Softbank, altro grande azionista del portale cinese entrato a suo tempo a prezzi che con l’IPO si moltiplicherebbero per decine di volte.
L’Occidente minaccia sanzioni e congelamento di asset russi per far cedere Mosca sull’Ucraina, ma rischia di trovare poco da sequestrare quando scatteranno. Sabato il Financial Times ha scritto che i russi stanno ritirando miliardi dalle banche occidentali. Ma è su Business Insider che troviamo la pistola fumante, grazie anche a un’analisi condotta da BofA Merrill Lynch. I T-bond di proprietà di governi e altre entità estere sono spesso detenuti in custodia dalla Federal Reserve americana per una serie di ragioni tecniche. Nella settimana al 12 marzo il totale dei T-bond in custodia alla Fed è sceso di oltre 100 miliardi di dollari, un record assoluto. Subito si sono sparse voci allarmate di ingenti vendite da parte delle banche centrali dei paesi emergenti per disporre di dollari da utilizzare a sostegno delle proprie valute in crisi. Ma dal mercato, cioè dai prezzi, non viene nessuna indicazione in questo senso. E allora? Spiegazione di Business Insider: sono i russi, ma non hanno venduto, hanno solo trasferito e portato al sicuro. Se e quando scattasse il congelamento degli asset, i Federali troveranno il congelatore vuoto.
Ancora Ucraina, Crimea e Russia. Barrons avverte, attenzione si sta gonfiando una bolla. Ma non è pericolosa, almeno per ora. È la bolla degli esperti, il cocktail di personaggi attrezzati più di opinioni che di idee, uno tsunami di improvvisati guru di storia, Europa centrale e strategie geopolitiche. Uno studio del 2005 della London Business School mostrava che i mercati azionari e i PIL dei rispettivi paesi si muovono in direzioni divergenti, quando uno sale l’altro scende. La lezione era che tentare di prevedere l’andamento dei mercati sulla base di quello dell’economia reale non porta da nessuna parte. Lo stesso si può dire delle costruzioni geopolitiche, scrive Barrons. E cita una delle 10 regole di Bob Farrell per l’investitore: quando tutti gli esperti e le previsioni convergono, vuol dire che sta per succedere qualcosa di diverso. La bolla dei guru per ora non fa paura. Basta tenerli lontani dalle stanze dei bottoni.
Interessante classifica scovata su Forbes, che fornisce anche una chiave di lettura delle turbolenze in Ucraina e dintorni. La rivista è andata a cercare per il mondo i miliardari in dollari la cui fortuna rappresenta, in percentuale, la quota più alta del PIL del loro paese. In testa troviamo Bidzina Ivanishvili, valore personale netto 5,2 miliardi, pari al 32% del PIL del paese dove vive, la Georgia, di cui è stato anche primo ministro. Al secondo posto un altro ex primo ministro, questa volta del Libano: Najib Mikati, che insieme al fratello Taha vale il 14% del piccolo e turbolento paese. Segue l’uomo più ricco dell’Africa, il nigeriano Aliko Dangote, che ha accumulato una fortuna da 25 miliardi di dollari nel cemento, nello zucchero e nelle farine e vale il 9% del PIL del paese. Si prosegue con l’ucraino Rinat Akhmetov, che con 12,5 miliardi di provenienza mineraria vale il 7% del reddito del paese al centro delle turbolenze delle ultime settimane: è schierato dalla parte di Kiev contro Mosca. Insomma, tutti paesi con qualche problema di regole e tenuta democratica? Non proprio, perché al quinto posto c’è. Stefan Persson, lo svedese a cui fa capo la catena di moda H&M che da solo vale 34,4 miliardi di dollari, pari al 6% del PIL del paese considerato la patria del socialismo quasi realizzato. Dalla Svezia al Nepal, dove Binod Chaudhary è l’unico miliardario, vale il 6% del PIL e controlla la principale banca. C’è ovviamente Carlos Slim, il re messicano delle telecomunicazioni che con i suoi 72 miliardi vale il 6% del PIL del grande paese, il cipriota Suat Gunsel che con un solo miliardo pesa quanto Slim sul reddito dell’isola, e chiude la classifica un nome noto alla finanza italiana: il ceco Petr Kellner, che con 11 miliardi vale anche lui il 6% del PIL della repubblica e che ha fatto fortuna vendendo per 3,6 miliardi le sue partecipazioni assicurative alle Generali.
Arriva Alibaba a Wall Street. Secondo il Financial Times di sabato il colosso cinese dell’e-commerce ha intenzione di lanciare un’IPO che potrebbe rompere tutti i record e superare per valore quelle di Visa e di Facebook. Si parla infatti di una valutazione complessiva di Alibaba intorno ai 120 miliardi di dollari e di un collocamento a due cifre, tra i 15 e i 20 miliardi. L’impatto potrebbe essere molto positivo per l’intero settore internet americano. È vero che Aliababa è un concorrente globale di Amazon e Ebay, ma è anche vero che alcuni dei suoi principali azionisti, che dell’IPO potrebbero beneficiare molto, non sono cinesi. Yahoo comprò nel 2005 il 40% di Alibaba per 1 miliardo di dollari, che a alle valutazioni odierene moltiplicherebbe il suo valore per 50 volte. Festeggerebbe anche Softbank, altro grande azionista del portale cinese entrato a suo tempo a prezzi che con l’IPO si moltiplicherebbero per decine di volte.
L’Occidente minaccia sanzioni e congelamento di asset russi per far cedere Mosca sull’Ucraina, ma rischia di trovare poco da sequestrare quando scatteranno. Sabato il Financial Times ha scritto che i russi stanno ritirando miliardi dalle banche occidentali. Ma è su Business Insider che troviamo la pistola fumante, grazie anche a un’analisi condotta da BofA Merrill Lynch. I T-bond di proprietà di governi e altre entità estere sono spesso detenuti in custodia dalla Federal Reserve americana per una serie di ragioni tecniche. Nella settimana al 12 marzo il totale dei T-bond in custodia alla Fed è sceso di oltre 100 miliardi di dollari, un record assoluto. Subito si sono sparse voci allarmate di ingenti vendite da parte delle banche centrali dei paesi emergenti per disporre di dollari da utilizzare a sostegno delle proprie valute in crisi. Ma dal mercato, cioè dai prezzi, non viene nessuna indicazione in questo senso. E allora? Spiegazione di Business Insider: sono i russi, ma non hanno venduto, hanno solo trasferito e portato al sicuro. Se e quando scattasse il congelamento degli asset, i Federali troveranno il congelatore vuoto.
Ancora Ucraina, Crimea e Russia. Barrons avverte, attenzione si sta gonfiando una bolla. Ma non è pericolosa, almeno per ora. È la bolla degli esperti, il cocktail di personaggi attrezzati più di opinioni che di idee, uno tsunami di improvvisati guru di storia, Europa centrale e strategie geopolitiche. Uno studio del 2005 della London Business School mostrava che i mercati azionari e i PIL dei rispettivi paesi si muovono in direzioni divergenti, quando uno sale l’altro scende. La lezione era che tentare di prevedere l’andamento dei mercati sulla base di quello dell’economia reale non porta da nessuna parte. Lo stesso si può dire delle costruzioni geopolitiche, scrive Barrons. E cita una delle 10 regole di Bob Farrell per l’investitore: quando tutti gli esperti e le previsioni convergono, vuol dire che sta per succedere qualcosa di diverso. La bolla dei guru per ora non fa paura. Basta tenerli lontani dalle stanze dei bottoni.
Interessante classifica scovata su Forbes, che fornisce anche una chiave di lettura delle turbolenze in Ucraina e dintorni. La rivista è andata a cercare per il mondo i miliardari in dollari la cui fortuna rappresenta, in percentuale, la quota più alta del PIL del loro paese. In testa troviamo Bidzina Ivanishvili, valore personale netto 5,2 miliardi, pari al 32% del PIL del paese dove vive, la Georgia, di cui è stato anche primo ministro. Al secondo posto un altro ex primo ministro, questa volta del Libano: Najib Mikati, che insieme al fratello Taha vale il 14% del piccolo e turbolento paese. Segue l’uomo più ricco dell’Africa, il nigeriano Aliko Dangote, che ha accumulato una fortuna da 25 miliardi di dollari nel cemento, nello zucchero e nelle farine e vale il 9% del PIL del paese. Si prosegue con l’ucraino Rinat Akhmetov, che con 12,5 miliardi di provenienza mineraria vale il 7% del reddito del paese al centro delle turbolenze delle ultime settimane: è schierato dalla parte di Kiev contro Mosca. Insomma, tutti paesi con qualche problema di regole e tenuta democratica? Non proprio, perché al quinto posto c’è. Stefan Persson, lo svedese a cui fa capo la catena di moda H&M che da solo vale 34,4 miliardi di dollari, pari al 6% del PIL del paese considerato la patria del socialismo quasi realizzato. Dalla Svezia al Nepal, dove Binod Chaudhary è l’unico miliardario, vale il 6% del PIL e controlla la principale banca. C’è ovviamente Carlos Slim, il re messicano delle telecomunicazioni che con i suoi 72 miliardi vale il 6% del PIL del grande paese, il cipriota Suat Gunsel che con un solo miliardo pesa quanto Slim sul reddito dell’isola, e chiude la classifica un nome noto alla finanza italiana: il ceco Petr Kellner, che con 11 miliardi vale anche lui il 6% del PIL della repubblica e che ha fatto fortuna vendendo per 3,6 miliardi le sue partecipazioni assicurative alle Generali.
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