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Fashion, food e furniture. Le tre F del Made in Italy

31 Gennaio 2014 14:20
financialounge -  arredamento cibo distribuzione Expo 2015 Made In Italy moda PMI vino
Per la prima volta uno studio quantifica quanto vale il meglio del Made in Italy e da chi è composto questo intricato tessuto sociale e culturale.

Secondo lo studio condotto da Databank di Cerved Group e presentato nel corso del convegno “Fashion for luxury” organizzato dal think tank femminile “D Club” le tre “F” del nostro Made In Italy – Fashion, Food & Furniture – valgono assieme l’80% dell’intera produzione italiana. Ciò significa che su poco meno di 550mila aziende manifatturiere presenti in Italia, il 16% è rappresentato dal settore fashion, il 12% dal food ed il 5% dal furniture. Si tratta di realtà imprenditoriali dalle dimensioni ridotte, caratteristica tipica del nostro tessuto economico, ricco com’è di PMI.

Dallo studio condotto emerge poi che su 85.000 imprese di moda, l’86% è rappresentato da aziende di piccole dimensioni, numero che sale fino all’87% nel settore dell’arredo e fino all’89% nel settore alimentare. E dei tre settori in esame si registrano delle buone performance di crescita per il segmento moda e per quello food, che nel periodo 2010/2012 hanno segnato un +5%. A differenza dell’arredamento, in cui si è notato un leggero ribasso dell’ordine di un punto percentuale.

D’altronde non è un caso che i clienti di tutto il mondo percepiscano il life style italiano come il giusto mix di estetica e qualità, tipico di un eleganza tutta italiana. Uno stile celebrato in tutto il mondo attraverso mostre, appuntamenti e omaggi: l’ultimo in ordine cronologico al Victoria And Albert Museum. La city londinese dedicherà ad Aprile un’importante mostra allo stile italiano e al contributo che le nostre firme e case d’abbigliamento hanno dato a tutto il fashion system mondiale.

Ma è nel corso del tempo che il Made In Italy è diventato un vero e proprio brand (stando alle dichiarazioni del Ministero degli Esteri sarebbe il terzo brand più conosciuto al mondo, dopo Coca Cola e Visa). Tanto che l’Italia è diventata il primo paese esportatore di prodotti tessili ed il secondo per l’esportazione di meccanica ed elettrodomestici, preceduti solo dai tedeschi. Ma senza scendere in facili discorsi, la situazione italiana, anche nelle sue eccellenze, ha dei difetti da correggere.

Primo fra questi la difficoltà che riscontriamo nella distribuzione rispetto agli altri paesi europei. Non è una novità che in Italia manchino grandi realtà internazionali, capaci di uscire dai confini ampliando il proprio business e il “Sistema Italia” stesso. Realtà al contrario ben presenti e radicate da diversi decenni invece, dai nostri cugini francesi (Carrefour per esempio) o dai nostri vicini tedeschi. Ed è solo aguzzando bene la vista che si scorgono quelle realtà, quasi uniche nella loro solitudine, capaci di espandersi oltre confini: Eataly e Yoox per esempio. E questa incapacità di fare sistema, tipica del settore food e specificatamente nel settore vinicolo, è una delle colpe per cui siamo scesi al terzo posto nel numero di bottiglie di vino rosso stappate nel 2013, preceduti da Cina e Francia.

In Italia infatti sono state consumate 141 milioni di casse, contro i 150 milioni dei francesi e le 155 dei cinesi. A tal proposito la Coldiretti proprio ieri ha sottolineato che la maggior parte del vino consumato nel paese asiatico è di produzione locale e le importazioni rappresentano il 19% del mercato. Sono numeri enormi, soprattutto se rapportati a un aumento record dei consumi, pari al +136% rispetto al 2008, mentre in Francia nello stesso periodo c’è stato un calo del -18% e del -5,6% in Italia.

A questo punto l’Expo2015 potrebbe essere un’ottima opportunità da cogliere. Quantomeno una vetrina per tutte quelle PMI che fino ad oggi non sono state in grado di farsi notare nel panorama internazionale. L’opportunità di costruire ponti che vadano oltre i nostri confini. Ma per far questo è necessario stringere alleanze e sinergie per tempo. Ed in questo caso lo Stato, e le tante realtà locali, dovrebbero essere i partner principali per queste nuove e strategiche alleanze.
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