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Un contesto globale che punta sulle aziende

30 Luglio 2013 21:00
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Il fatto che l’azionario nelle ultime settimane, pur registrando una flessione, abbia avuto un livello di volatilità che è salito al di sopra del 20% solo brevemente, mentre nella crisi del 2008 dopo il fallimento della Lehman Brothers viaggiava fra il 30% e il 40% (con picchi fino anche all’80%), costituisce la cornice ideale per una rivalutazione delle azioni.

Ne è convinto Dominic Rossi, Global Chief Investment Officer Equities di Fidelity Worldwide Investment, per il quale la congiuntura continua ad essere propizia agli investimenti azionari anche perché questa più bassa volatilità è dovuta principalmente alla minore incertezza sulle prospettive dell'economia statunitense rispetto agli anni passati.


Quali sono le ragioni di questa convinzione?
“Il fiscal cliff ha indubbiamente rappresentato un ostacolo difficile da superare, ma la solida crescita del settore privato ha permesso all'economia statunitense di crescere. Grazie al miglioramento strutturale del “deficit gemello” (disavanzo pubblico e disavanzo delle partite correnti o bilancia commerciale), questa economia è infatti tornata a mostrare una buona solidità. Nel 2009 il deficit fiscale degli USA era pari al 10% del PIL, che corrisponde a 1.500 miliardi di dollari. Secondo i dati del Congressional Budget Office, quest'anno il deficit dovrebbe attestarsi a circa 640 miliardi di dollari USA, pari al 4% del PIL. Tale risultato non dipende solo dai tagli alle spese ma anche dai positivi effetti sul gettito federale derivanti dall'aumento di utili aziendali e pressione fiscale. Entro il 2015 il deficit fiscale dovrebbe scendere al 3% del PIL, un valore quasi in linea con il tasso tendenziale di crescita del PIL e che consente agli USA di raggiungere una certa stabilizzazione a livello di indebitamento”.


Anche sul fronte della bilancia commerciale, gli Stati Uniti sono riusciti a compiere enormi passi avanti. Con quali ricadute sull’economia del paese?
“Per la prima volta negli ultimi trent'anni, la posizione commerciale degli USA è migliorata in un periodo di crescita economica, un risultato imputabile a una novità strutturale, ovvero l'energia derivante dai giacimenti di scisti (shale energy). Lo sfruttamento commerciale dei giacimenti di idrocarburi da scisti ha infatti permesso di ridurre le importazioni statunitensi di petrolio da 12 a 8 milioni di barili al giorno e il dato è destinato a scendere ancora”.


Anche il dollaro e le Borse traggono beneficio ?
“Il miglioramento del “deficit gemello” ha favorito la valuta americana, aumentando la pressione sui prezzi delle materie prime. Il miglioramento delle prospettive di crescita, che si attestano al 3%, insieme a un livello di inflazione contenuto, danno alla Federal Reserve la possibilità di allentare in modo graduale il programma di quantitative easing. Questo scenario, peraltro è fortemente positivo per una ripresa dei mercati azionari, non solo negli Stati Uniti, ma a livello globale”


Passiamo all’Europa. Qual è la sua view?
“Nel vecchio Continente vi sono stati timidi segnali di ripresa, che tuttavia si inseriscono in un contesto caratterizzato da una crescita estremamente ridotta. Vista l’assenza di scorte in Europa, qualsiasi minima variazione della domanda genera un effetto immediato a livello di produzione industriale e crescita. Non è quindi ancora opportuno parlare di una solida ripresa strutturale dell’Europa nel suo complesso”.


Ben diversa è la situazione in Giappone. Perchè?
“Qui l'andamento del mercato azionario è influenzato dall’evoluzione politica. I primi due punti del radicale programma economico del Primo Ministro Abe, ovvero supporto fiscale e incentivi monetari, dovrebbero provocare nei prossimi due mesi un incremento della crescita del PIL, anche nell’ordine del 4%. Senza dubbio un contesto di questo tipo offre ampi margini di rialzo ai titoli azionari giapponesi, ma l'effettivo avvio di una fase rialzista pluriennale, che non si esaurisca in un rally temporaneo, dipenderà dalla capacità di Abe di attuare il terzo punto del programma, il più arduo: la riforma strutturale. Per incrementare nel lungo periodo il tasso di crescita reale del Giappone, è infatti essenziale ampliare la forza lavoro o migliorare la produttività. Per aumentare la forza lavoro le possibili vie sono due: incrementare la partecipazione femminile o aumentare l'immigrazione, anche se quest'ultima opzione sembra poco praticabile”.


Allargando l’orizzonte ai mercati emergenti, che hanno sofferto più rispetto a quelli sviluppati negli ultimi tempi e anche durante la correzione di maggio – giugno, di cosa avrebbero bisogno secondo lei?
“I mercati emergenti sono alla ricerca di un nuovo modello economico. Alcuni degli elementi strutturali favorevoli che hanno contraddistinto l'ultimo decennio si stanno ora rivelando quasi degli ostacoli. All’indomani della crisi finanziaria asiatica del 1997-98, i mercati emergenti avevano abbandonato il cosiddetto "consensus di Washington", un orientamento che, dalla caduta del Muro di Berlino, aveva dominato il pensiero economico dei mercati emergenti e prevedeva un regime di cambi fissi, obiettivi in materia d'inflazione, nonché politiche di privatizzazione e liberalizzazione. Al suo posto fu invece adottato un nuovo modello economico basato su valute deboli, una crescita trainata dalle esportazioni, l'accumulazione di riserve in dollari USA e lo sviluppo di fonti di finanziamento non denominate in dollari USA, come il debito in valuta locale”.


Occorre quindi cambiare registro?
“Nonostante il successo riscosso negli ultimi dieci anni, questo modello sta oggi diventando meno praticabile a causa del fatto che il mondo sviluppato si sta orientando verso un maggior equilibrio delle bilance commerciali. Le valute dei mercati emergenti non sono più convenienti come in passato e, in termini reali, hanno ampiamente recuperato potere. I mercati emergenti devono quindi accantonare i modelli economici basati sulle esportazioni e avviare una riforma strutturale. I Paesi che sapranno farlo in maniera efficace, come è il caso per la Cina, che ha messo in campo importanti riforme proprio allo scopo di ribilanciare la propria economia a favore dei consumi interni, potranno prosperare, mentre i Paesi che non riusciranno a modificare in maniera strutturale le loro economie potrebbero trovarsi in seria difficoltà, in un contesto in cui è venuta meno la debolezza del dollaro e in cui sono calati i prezzi delle materie prime”.


In quali settori vede delle opportunità di medio lungo temine?
“Nel pieno di questa evoluzione è in atto anche un profondo cambiamento della leadership a livello settoriale e anche all’interno dei mercati azionari. Nell'ultimo decennio hanno prosperato soprattutto i Paesi produttori di materie prime, così come si sono generalmente rivalutati i settori e i titoli legati all'acciaio e all'estrazione dei metalli. In prospettiva futura, ritengo che assisteremo a una rivalutazione delle società con proprietà intellettuale nel campo tecnologico, sanitario e dei servizi finanziari. All'interno del settore farmaceutico, ad esempio, si stanno compiendo enormi progressi terapeutici in aree come l'oncologia. Nel settore IT, le società internet, sempre estremamente innovative, offrono attualmente valutazioni relativamente convenienti. Infine, pur risentendo delle pressioni normative, ritengo che nel corso dei prossimi anni sia abbastanza probabile una rivalutazione dei titoli dei servizi finanziari rispetto alle basse quotazioni attuali”.
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