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Il calo cinese e le tensioni nel settore bancario

15 Luglio 2013 20:00
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Se in una logica di lungo termine si può rimanere positivi sugli investimenti in Cina, sarà cruciale verificare le prossime azioni della nuova leadership politica in Cina volte a ribilanciare l’economia e a rendere la crescita sostenibile, evitando che si creino particolari bolle. È questa, in estrema sintesi, la principale indicazione espressa da Mauro Ratto, Responsabile Investimenti nei Paesi Emergenti di Pioneer Investments, sul sistema bancario cinese e, in generale, sulle opportunità di investimento in Cina.

Ratto, invitato da FinanciaLounge, commenta l’impatto della recente stretta creditizia imposta dalla People’s Bank of China per raffreddare gli eccessi nei prestiti bancari e le implicazioni per l’economia e i mercati finanziari.

Fanno bene gli investitori a preoccuparsi per la crescita dopo il brusco calo del mercato azionario cinese di giugno con le banche sotto pressione ?
“Le banche sono senza dubbio il settore numericamente più rilevante del mercato cinese ma i problemi sembrerebbero comunque riguardare unicamente questo settore. Le autorità vogliono frenare l’eccessiva erogazione di prestiti per renderla meglio gestita e maggiormente selettiva.

L’atteggiamento della Banca Centrale Cinese induce a credere che le banche siano rimaste a corto di liquidità a seguito degli eccessivi prestiti e ora meritino un trattamento con tassi di interesse “punitivi” per coprire questa carenza. Un approccio molto risolutivo ed estremamente diverso da quello adottato nei paesi sviluppati per regolare il settore bancario”

Questo potrebbe essere semplicemente un approccio diverso, con limitate implicazioni per l’economia cinese e ancora meno per quella globale. Possiamo dire che ci sia una preoccupazione eccessiva?
“La reazione può sembrare eccessiva, ma non dobbiamo trascurare il clima di incertezza in cui ci troviamo. I timori di una stretta monetaria sono nati dalle aspettative che stiano volgendo al termine le politiche oltremodo accomodanti negli Stati Uniti. Il clima di incertezza ha fatto scambiare per un cambiamento drastico anche la graduale normalizzazione delle politiche economiche americane operata dalla Fed con la riduzione del quantitative easing. La Cina non ha mai abbracciato politiche eccessivamente accomodanti, ma comunque gli investitori hanno mostrato di desiderare nuovi stimoli per ravvivare la crescita in rallentamento e invece si sono ritrovati con un freno alle concessioni di credito da parte delle banche”.

Quanto è importante il cambiamento ai vertici di governo in Cina?
“La nuova leadership, ed in particolare il Primo Ministro che ha la responsabilità della politica economica, ha apertamente dichiarato la sua contrarietà ai concetti di “stimolo” e di “eccesso”. I prezzi immobiliari ne sono un esempio. Le autorità temono che l’erogazione di mutui in eccesso possa generare un aumento speculativo dei prezzi degli immobili.
Tuttavia le misure frenanti appaiono così aggressive da far pensare che le autorità desiderino un calo pesante, tale da far “scoppiare” la bolla con un crollo vero e proprio dei prezzi che potrebbe essere dannoso non solo per le banche, ma anche per i piccoli proprietari di immobili, con conseguenze negative sui consumi”.

Modificherete l’allocazione di portafoglio in questo scenario di incertezza?
“Nella nostra asset allocation strategica globale abbiamo chiuso il sovrappeso sui mercati emergenti con l’obiettivo di mitigare la volatilità indotta dalla riduzione delle politiche accomodanti della Fed ma continuiamo a credere che le valutazioni delle aziende dei mercati emergenti siano ancora più convenienti rispetto a quelle dei paesi sviluppati e che ci sia una storia di crescita di lungo termine.

Tuttavia pensiamo che la prossima chiusura del quantitative easing possa in qualche misura condizionare i flussi degli investitori verso i mercati emergenti. I problemi riscontrati dalla Cina hanno ulteriormente contribuito alla nostra scelta di mantenere un approccio più difensivo. Infine si deve tenere conto anche del maggiore rischio politico (reale o solamente percepito) che potrebbe derivare da alcune specifiche situazioni in Paesi emergenti chiave come Brasile e Turchia”.

Questo vuol dire che volete proteggervi dalle implicazioni globali di un ridotto quantitative easing?
“Al momento non ci stiamo posizionando in modalità “risk-off” poiché non crediamo che la Fed rientri in possesso della abbondante liquidità immessa sul mercato in tempi troppo rapidi. Questo processo è stato pensato per essere lento e graduale ed è anche legato al miglioramento dell’economia. Non crediamo che l’impegno delle principali banche centrali per sostenere la crescita economica possa essere condizionato dai programmi di normalizzazione della Fed”.

La Cina costituisce ancora un caso di investimento, almeno nel lungo termine?
“Questo non dovrebbe essere messo in discussione. Crediamo che l’impegno delle autorità cinesi sia volto a far sì che la crescita dipenda in misura maggiore dai consumi delle famiglie e le azioni dei beni di consumo non potranno che beneficiarne. Quello che ha sorpreso noi, e molti altri investitori, è che le autorità stiano cercando di forzare un cambiamento all’interno del settore bancario. I prestiti alle imprese sono molto sproporzionati rispetto all’industria dei prestiti nel complesso.

Tuttavia sarebbe più sensato che la nuova leadership seguisse le indicazioni del precedente Primo Ministro nel perseguire una rottura delle banche più grandi e quasi monopoliste per farle gestire come già avviene nella maggior parte delle banche private dei paesi sviluppati e in via di sviluppo”.
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