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Trump vuole tassi a zero, può tornare il rischio bolla dei bond

Il mercato globale dei bond sovrani e investment grade ha corso molto. Ora dipende dalla Fed, che deve tenere duro e non cedere alle richieste di Trump che vorrebbe tassi zero

di Redazione 16 Settembre 2019 09:31

Siamo nella mani dello zio Jay Powell, l’avvocato con la vocazione della politica prestato al central banking da un presidente Trump che ora vorrebbe licenziarlo, se solo potesse, perché non porta i tassi a zero come i competitor europei e giapponesi. Se mercoledì 18 settembre Powell dovesse cedere alle pressioni e indicare, insieme all’atteso taglio di un altro quartino, che siamo solo all’inizio di una parabola discendente con obiettivo nei dintorni di zero, la situazione potrebbe diventare pericolosa. Ad agosto abbiamo visto la corsa a comprare bond con tassi in conseguente caduta. Poi Draghi ha sparato l’ultima salva di bazooka e il movimento si è invertito perché il mercato pensa che più in negativo di così i rendimenti non possano andare. Ma una Fed in accelerazione sui tagli potrebbe far ripartire la corsa ai titoli del Tesoro americano, i cui rendimenti si sono già dimezzati dal picco di un anno fa. Un assaggio di cosa vuol dire la corsa al T-bond lo abbiamo avuto a metà agosto, con il crollo dei tassi sotto l’1,5% che ha provocato qualche crisi di nervi a Wall Street. Poi la situazione è rientrata, i prezzi sono scesi e i rendimenti risaliti, ma non si sa quanto dura. Ma perché tassi in rapida discesa dei bond con prezzi in corrispondente ascesa possono diventare pericolosi? Cominciamo cercando di capire perché gli investitori comprano bond che rendono meno di zero.

IL MANTRA SBAGLIATO SECONDO CUI CHI COMPRA A TASSO SOTTOZERO CI RIMETTE


Il ritornello ripetuto all’infinito su giornali, radio e tv recita: chi compra bond a rendimento negativo ci rimette dei soldi perché invece di incassare una cedola la paga al debitore. Peccato che non sia vero. O meglio, è vero solo se si assume che l’ipotetico sprovveduto investitore si tenga il bond a tasso negativo fino alla scadenza, quando incasserà meno di quanto pagato all’acquisto. Ma esiste una cosa che si chiama mercato, dove i bond a tasso sottozero vengono scambiati ogni frazione di secondo e quello che conta non è il rendimento ma il prezzo. MarketWatch fa l’esempio di un investitore che a luglio avesse acquistato in asta o subito dopo sul secondario il Bund emesso dal Tesoro tedesco per 4 miliardi con cedola a -0,26%, al prezzo sopra la pari di 102,6. A fine agosto sul secondario lo stesso Bund veniva scambiato a 106,9 causa l’ulteriore calo dei rendimenti. Per chi ha comprato a luglio e venduto ad agosto quasi un 4% di capital gain, non male. E che dire di chi ha comprato i T-bond a 10 anni a ottobre del 2018, quando il capo della Fed Jay Powell aveva ancora il piumaggio del falco, che rendevano allora oltre il 3,2% e li avesse rivenduti sempre ad agosto di quest’anno, dopo la doppia conversione di Powell a colomba, col rendimento crollato sotto l’1,5%? Qui il capital gain si misura a doppia cifra percentuale, in soli 10 mesi! C’è da dire che dai minimi di agosto i tassi del T-bond hanno recuperato molti punti.

Draghi imbraccia il bazooka, ma non scopre tutte le carte


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PER ORA L’AZIONARIO SEMBRA ESENTE DAGLI ECCESSI DI EUFORIA


Negli ultimi giorni la corsa all’acquisto del debito, sovrano o corporate, si è fermata. Ma potrebbe ripartire se la Fed adottasse una politica di allentamento estremo di cui l’economia americana, a differenza di quella europea, non ha bisogno. Nel breve termine l’effetto positivo dei tassi in picchiata per i portafogli dei trader e degli investitori in bond è duplice. Da un lato l’occasione che abbiamo visto di realizzare capital gain importanti in un tempo molto breve. Dall’altro un effetto collaterale molto gradevole, di veder salire il valore price-to-market dei vecchi bond in portafoglio, magari acquistati intorno alla pari quando i tassi erano ancora positivi in tutto il mondo. Ovviamente c’è un rischio, segnalato dall’euforia della corsa al bond, anche se da fine agosto in poi ha rallentato molto: il rischio che a un certo punto, a causa di un catalizzatore inatteso, come un’inflazione che riparte a sorpresa, tutti corrano a portare a casa il profit fino a che sono in tempo, facendo precipitare i prezzi e schizzare i rendimenti. È un rischio che in questa fase i mercati azionari non sembrano correre, neanche a Wall Street. L’euforia è assente, non c’è nessun ‘panic buying’, anzi tra economisti e analisti prevale lo scetticismo su un mercato nel segno del toro ormai da un decennio.

SE PARTE UNA CORREZIONE VIOLENTA SERVIRANNO BANCHE SOLIDE


Ma una correzione violenta del reddito fisso impatterebbe sicuramente l’azionario, per una serie di ragioni collegate. Tassi in rialzo violento impatterebbero i conti delle imprese, e quindi gli utili societari, alimentando i timori di recessione. In uno scenario di questo tipo probabilmente le banche centrali da sole non bastano e diventa cruciale la tenuta delle grandi banche, soprattutto americane e anche europee. Un fattore che è venuto a mancare nella crisi del 2007-2008 e che è stato determinante per l’apertura della strada alla grande recessione. Le banche oggi sono molto più solide di 10 anni fa, anche se hanno pagato un costo pesante, e dovrebbero sostenere e garantire il credito necessario al sistema per evitare l’effetto domino visto dopo il crac Lehman e aggiungersi alla protezione delle banche centrali. Dando il tempo al mercato di riposizionarsi e riequilibrare l’esposizione tra azionario e reddito fisso. Il risultato finale, anche se con un passaggio doloroso in mezzo, potrebbe essere un parziale ritorno alla normalità monetaria, sempre che nel mentre la situazione non sfugga di mano.

Attese & Mercati – Settimana dal 16 settembre 2019


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BOTTOM LINE


Trump se ne intende di immobiliare, dove il debito è tutto e se lo paghi zero hai già fatto metà dell’affare. Ma di mercati finanziari meno, oppure preferisce giocare a poker sperando che il bluff duri fino alle presidenziali del 3 novembre 2020. È un gioco pericoloso. A Powell non mancano gli estimatori, come abbiamo scritto su FinanciaLounge. Speriamo che in questi giorni stia ricevendo molte telefonate che lo incoraggiano a non cedere alle pressioni presidenziali.
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