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Inflazione? Bene bassa, ma non bassissima

Per Franz (Capital Group) sono colpevoli l’innovazione tecnologica, gli americani che spendono meno, il mancato effetto ‘ricchezza’ del ceto medio, il rallentamento della Cina e i limitati aumenti delle retribuzioni

di Redazione 28 Ottobre 2019 12:56
financialounge -  Capital Group inflazione Jared Franz

Per molte generazioni l’inflazione è stata – e resta - una delle peggiori insidie per i propri risparmi. Negli anni settanta, a seguito delle due crisi petrolifere, i prezzi al consumo registrarono un’impennata tanto da proiettare il costo della vita annuo a due cifre. Negli ultimi anni, per contro, l’inflazione si è mantenuta bassa diventando fonte di preoccupazione per i banchieri centrali perché se si abbassasse eccessivamente, il sistema potrebbe cadere in deflazione.

PERCHÉ SCONGIURARE LA DEFLAZIONE


“Le teorie economiche insegnano che nel momento in cui ci si aspetta un calo dei prezzi dei beni di consumo le persone tendono a posticipare gli acquisti. Allo stesso tempo diminuisce la richiesta di prestiti alla luce del fatto che ripagare il debito contratto diventa più difficile in un periodo di deflazione con il passare del tempo. Un contesto nel quale potrebbe crescere in modo significativo la percentuale di coloro che rinunciano a spendere e di quanti ricorrono al credito inducendo una contrazione delle assunzioni e degli investimenti da parte delle imprese” spiega Jared Franz, Economista di Capital Group.

I CINQUE FATTORI CHE FRENANO L’INFLAZIONE


Chiarito questo, ci si interroga sulle cause che imprigionano i prezzi al consumo sugli attuali bassi livelli. Franz ne segnala in particolare cinque: dall’innovazione tecnologica che pervade tutti i settori ai consumatori statunitensi che risparmiano di più e spendono meno, dal mancato effetto ‘ricchezza’ che a cascata di solito traduce l’aumento dei prezzi degli asset in un aumento della spesa al rallentamento dell'economia cinese che ha frenato la domanda di metalli e di materie prime, fino al limitato potere contrattuale dei lavoratori insufficiente a ottenere cospicui aumenti nelle retribuzioni.

PROGRESSO TECNOLOGICO


Il progresso tecnologico ha impatti su molti settori e consente una modernizzazione del processo produttivo rendendolo più efficiente e meno costoso. La transizione dal vecchio modo di produrre – si pensi, solo per fare un esempio sotto gli occhi di tutti, al settore automobilistico – a quello nuovo comporta l’utilizzo di materie prime diverse e minori consumi il che permette di abbassare il prezzo finale sostenuto dal consumatore.

MENO CONSUMI AMERICANI


A proposito di consumatori, rispetto alle precedenti espansioni economiche in questa i consumatori statunitensi evidenziano un maggiore tasso di risparmio e uno minore di spesa. Basti pensare che durante l’ultima recessione il rapporto tra debito delle famiglie americane e PIL si avvicinava a quota 100 mentre oggi si attesta a 76. “Un esempio pratico sulla casa – che rappresenta una delle voci principali nel paniere dell’inflazione - può far comprendere meglio le dinamiche in gioco. Se la domanda di mutui ristagna, dal momento che costituisce uno dei volani della crescita dei prezzi al consumo, anche l'inflazione non riesce a riprendere slancio” specifica Franz.

RICCHEZZA FINANZIARIA AVVERTITA SOLO DAI PIÙ ABBIENTI


Il quale passa poi al terzo motivo che ha frenato la crescita dell’inflazione: il mancato aumento della spesa nonostante il robusto rialzo dei prezzi delle asset class finanziarie. E’ vero, ammette Franz, che la Federal Reserve ha stimolato l'economia attraverso i programmi di acquisto dei titoli determinando un solido sostegno ai mercati finanziari con un poderoso rally rialzista dei prezzi delle azioni e di altri asset finanziari. Ma è altrettanto vero che questo fenomeno di ‘ricchezza’ ha riguardato prevalentemente la fascia più abbiente della popolazione che tende, in proporzione, a risparmiare di più. Al contrario il QE della banca centrale USA ha avuto un impatto più moderato sulla classe media e sui gruppi meno agiati.

AUMENTI DELLE RETRIBUZIONI AL PALO


La fascia media e medio bassa della popolazione occidentale ha inoltre evidenziato un minore potere contrattuale che ha mantenuto ridotte le richieste di aumenti retributivi nonostante i tassi di disoccupazione ai minimi del dopoguerra – negli Stati Uniti – o prossimi ai livelli pre crisi per la zona euro. E se i salari non registrano incrementi di una certa entità è difficile che aumenti il budget di spesa delle famiglie e, a cascata, i prezzi dei beni di consumo.

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RALLENTAMENTO DELLA CRESCITA CINESE


“D’altra parte la Cina e altri mercati emergenti continuano da anni ad esportare forza lavoro nel mercato globale: un processo che anno dopo anno tende a limitare la crescita salariale con conseguente riduzione delle pressioni sull'inflazione” puntualizza Franz che a questo proposito segnala il quinto motivo che frena le tensioni inflattive: il rallentamento dell'economia cinese. “La crescita di Pechino che dai tassi annualizzati a doppia cifra è planata ad un tasso più vicino al 6%, provoca l'indebolimento della domanda di materie prime con un impatto sui suoi partner commerciali, mantenendo più bassi i prezzi delle esportazioni con conseguenti spinte anti inflazione” riferisce Franz.

L’AVERAGE INFLATION TARGETING DELLA FED


L’esperto, che non esclude che in futuro alcune dinamiche economiche possano cambiare determinando impatti anche sui prezzi al consumo, segnala l’idea dell’average inflation targeting ventilata dalla Federal Reserve. “Si tratta d una strategia che incoraggia un movimento verso l’alto dei prezzi al consumo per un certo periodo di tempo per bilanciare una fase al di sotto del target, in modo che si possa raggiungere una media del 2% nel corso di un ciclo” specifica Franz secondo il quale, in ogni caso, restano ancora tutte da superare le difficoltà da parte delle banche centrali a rianimare i prezzi al consumo.
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