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Obbligazioni, Candriam spiega come proteggersi dalle sfide dell’inflazione

Nicolas Forest, Global Head of Fixed Income di Candriam, vede nelle obbligazioni a tasso variabile e indicizzate strumenti utili, ma avverte che l’inflazione è un fenomeno complesso fatto di molte variabili

di Virgilio Chelli 22 Giugno 2022 13:00
financialounge -  Candriam Nicolas Forest obbligazioni

Mercati e investitori hanno di fronte enormi sfide a lungo termine che incideranno in modo duraturo sull'inflazione, generando volatilità. È importante preparare bene i portafogli, perché gli attuali tempi più instabili daranno maggiore credibilità alla gestione flessibile, attiva e responsabile. Nicolas Forest, Global Head of Fixed Income di Candriam, ritiene che il modo migliore per contrastare l'inflazione in un portafoglio obbligazionario consiste nel ridurre la sensibilità ai tassi e essere ultra-selettivi, e indica come strumenti più adatti a questo contesto le obbligazioni a tasso variabile e quelle indicizzate all’inflazione.

TASSO VARIABILE E INDICIZZAZIONE


Forest spiega che la cedola delle prime, azzerata periodicamente sulla base di un tasso di riferimento maggiorato di un differenziale determinato dal mercato, offre una protezione naturale contro l'aumento dei tassi. Secondo Forest oggi è realistico prevedere un premio medio di credito di quasi 120 punti base, e se si considera che i tassi a breve superano l'1%, una strategia di questo tipo potrebbe essere vantaggiosa. Inoltre, le obbligazioni a tasso variabile sono correlate negativamente al rendimento dei bond sovrani e offrono quindi una buona opportunità di diversificazione. Nelle obbligazioni indicizzate Forest esprime una preferenza per il tratto a breve della curva e sottolinea che sono uno strumento interessante per proteggersi dal rischio di sorprese inflazionistiche, offrendo una protezione non trascurabile contro un aumento dei tassi reali.

SFIDE A LUNGO TERMINE


Forest avverte comunque di considerare benefici e rischi che obbligazioni a tasso variabile e legate all'inflazione possano presentare e spiega che l'inflazione è un fenomeno complesso, spesso ‘autoavverante’, che tende a rafforzarsi quando gli operatori credono sia presente. E questo rende difficile le previsioni, infatti le banche centrali si sono in gran parte sbagliate negli ultimi anni, e dopo averla sovrastimata, è chiaro quanto invece sia stata sottostimata sia negli USA che in Europa.

IMPORTANTE IL LIVELLO DI ARRIVO


L’esperto di Candriam cita il presidente della Bundesbank Karl Otto Pöhl che nel 1980 avvertiva che "l'inflazione è come il dentifricio: una volta uscito dal tubo, è difficile farlo rientrare" e alla luce degli ultimi dati sembra che le autorità monetarie e fiscali abbiano appunto premuto un po’ troppo sul tubetto. Forest prevede che naturalmente l'inflazione scenderà per il semplice effetto base, ma tornare sotto il 2%, come è stato per 10 anni, o intorno al 3%, non è affatto la stessa cosa per mercati e operatori. Oggi il mercato vede un'inflazione al 3% negli USA per fine 2023, mentre lo scenario principale di Candriam prevede un rischio significativo di un livello superiore.

RISPONDERE A TRE INTERROGATIVI


Questa lettura si basa su tre punti a cui rispondere. Il primo riguarda gli stimoli fiscali e monetari. Fino a poco fa l’obiettivo era un ritorno dell’inflazione, ma adesso sembra addirittura superato. Iniezioni di liquidità e stimoli fiscali, hanno ampiamente contribuito al clima inflazionistico, che potrebbe continuare ad essere alimentato da tensioni salariali. Poi c’è il tema delle strozzature delle catene di approvvigionamento, messe a dura prova dai tempi della presidenza Trump e dall'acuirsi delle tensioni commerciali con la Cina, poi amplificate dall'effetto Covid. Il trend sembra proseguire in modo inevitabile, e insieme al cambiamento climatico, il rischio di una crisi alimentare potrebbe avere un impatto più duraturo sulle previsioni inflazionistiche.

IL FENOMENO DELLA GRENFLATION


Infine il costo della transizione energetica, da alcuni definito "greenflation". Le aziende devono investire pesantemente e i costi sono molto elevati e in aumento. Forest osserva che per costruire una turbina eolica da 3 megawatt sono necessarie 2 tonnellate di terre rare, 3 tonnellate di alluminio, 3,5 tonnellate di rame, 335 tonnellate di acciaio. Una domanda che peserà in maniera strutturale sul costo delle materie prime, e anche la transizione energetica potrebbe influire anche sulle prospettive inflazionistiche di medio termine.
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