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Politica e mercati

I mercati sperano in un Mattarella bis e Draghi ancora premier

Le preoccupazioni degli investitori sono più vocali che fattuali, ma possono aprirsi scenari da incubo, anche se l’euro e la permanenza nella Ue non sono in discussione

di Stefano Caratelli 17 Gennaio 2022 08:13
financialounge -  BTP italia Mario Draghi Sergio Mattarella spread

Non era mai successo che negli ormai 75 anni di storia della Repubblica l’elezione del Presidente fosse seguita con tanta attenzione e anche apprensione da osservatori e investitori internazionali. Da sempre infatti i mercati guardano alle alchimie governative, soprattutto per capire quale livello di fiducia assegnare alla sostenibilità del debito pubblico, che rappresenta di gran lunga il principale asset investibile dell’Italia. Una volta il termometro utilizzato per misurare la febbre al debito erano la lira e il livello del tasso di interesse ufficiale, fissato una volta dal Tesoro e poi dalla Banca d’Italia. Poi con l’euro l’unità di misura è diventata lo spread, vale a dire il costo aggiuntivo che l’Italia paga sul debito rispetto alla Germania, considerata il benchmark continentale.

I PRECEDENTI DEL 2012 E 2018


La cosa in assoluto a cui lo spread è più sensibile è il rischio percepito che l’Italia possa abbandonare l’euro, oggi va di moda l’espressione ‘Quitaly’. Senza tornare ai 500 e passa punti toccati nella crisi del debito del 2012, più di recente lo spread è schizzato pericolosamente verso i 300 punti nella primavera-estate del 2018, sulla spinta dei ‘piani B’ di abbandono della moneta unica all’avvio del governo Lega-M5S, e poi meno violentemente all’esplosione della pandemia, questa volta sulla spinta di una gaffe di Christine Lagarde, appena arrivata alla guida della Bce.

RISCHIO DI SBRICIOLAMENTO DELLA MAGGIORANZA


Oggi il termometro dello spread segna qualche linea di febbre, ma per ora riesce a tenersi sotto i 140 punti, nonostante le tensioni sui tassi globali alimentate dalla svolta restrittiva della Fed e dalle paure d’inflazione che contagiano anche l’Europa e danno voce ai ‘falchi’ della Bce. I mercati e gli investitori guardano con preoccupazione a quello che succede tra Palazzo Chigi, Quirinale e soprattutto Montecitorio, dove tra meno di 10 giorni si comincerà a votare per il successore di Sergio Mattarella. Nelle prime tre votazioni ci vuole una maggioranza di due terzi, più o meno quella che oggi sostiene il governo di Mario Draghi, dalla quarta basta la metà più uno dei circa mille grandi elettori. Se dovesse uscire questo scenario, vorrebbe dire che la maggioranza del governo Draghi non c’è più e si apre di fatto la campagna elettorale per le elezioni politiche della primavera del 2023, sempre che non ci si vada prima causa sbriciolamento della maggioranza stessa con Draghi costretto a gettare la spugna.

PREOCCUPAZIONI PER ORA SOLO VOCALI


Con il Pnrr appena partito, e il grosso dei soldi europei che deve ancora arrivare, se non è uno scenario da incubo poco ci manca. Anche perché il tutto andrebbe in scena praticamente in contemporanea con le elezioni presidenziali in Francia, con nuvoloni geopolitici ai confini orientali dell’Unione sempre più neri e minacciosi. Da quando è arrivato un anno fa al timone del governo, Draghi è stata un’ancora di salvezza per l’Italia ma anche per l’Europa, a cui ha dato la linea e l’esempio nella lotta alla pandemia, emergendo come figura di riferimento per i partner globali del continente, a cominciare dagli Stati Uniti. Eppure le preoccupazioni di mercati e investitori, almeno finora, sono molto vocali ma molto poco fattuali, la Borsa di Milano continua a tenersi in vista dei 28.000 punti e non fa peggio delle altre europee mentre lo spread non strappa. Potrebbe voler dire che sono convinti che alla fine i voti dei mille convergeranno in abbondanza su Mattarella, costringendolo anche se di malavoglia a restare un altro annetto, oppure su un nome condiviso dalla stragrande maggioranza del Parlamento, che oggi nessuno intravvede.

I MERCATI VOTANO CON I PIEDI


Potrebbe però anche voler dire che mercati e investitori non hanno ancora perso la pazienza, ma stanno per farlo, e decidere di andare a votare anche loro, esercizio che di solito non praticano scrivendo un nome su una scheda ma ‘con i piedi’, come è risaputo. Se a votazioni inconcludenti o divisive si aggiungessero fughe massicce di asset italiani, a cominciare dai BTP, i mille come reagirebbero? E come reagirebbe una Bce verosimilmente incalzata dai falchi interni? Sono scenari che purtroppo l’Italia ha già vissuto molto drammaticamente già trent’anni fa, ai tempi della svalutazione della lira e dall’espulsione dall’allora Sistema monetario europeo e poi, vent’anni dopo, con la crisi del debito sovrano. La buona notizia è che questa volta l’euro e l’appartenenza alla UE non sono in discussione anche se il sovranismo e il populismo non sono stati del tutto estirpati.

BOTTOM LINE


A breve termine non sembra ci siano rischi seri di precipitare ancora in una spirale di sfiducia, il rischio piuttosto sembra quello di entrare in un limbo in cui tutto si sospende fino al 2023. La speranza è che si apra la strada a un Quirinale presidiato da Mattarella per un altro anno almeno, con Draghi che continua il lavoro a Palazzo Chigi. Di certo nelle prossime due settimane non mancheranno le emozioni, nel Palazzo e sui mercati.
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