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Uber, è il momento di vendere? Gli esempi di Amazon e Facebook

Wall Street ha da diverso tempo un problema nel valutare le aziende con modelli di business rivoluzionari come Uber: perché uscire ora non è necessariamente la soluzione

di Redazione 3 Settembre 2019 09:43
financialounge -  azioni facebook hi tech uber Wall Street https://www.flickr.com/photos/ell-r-brown/30396484822

Coloro che hanno il titolo Uber dall’Ipo di maggio stanno soffrendo le pene dell’inferno. L’azione, collocata a 45 dollari oggi viaggia a poco più di 32 dollari, cioè quasi il trenta per cento in meno. Le perdite totali accumulate dagli investitori che hanno aderito all’IPO ammontano, ad oggi, ad oltre 2 miliardi di dollari e include diversi milioni di dollari persi dai conducenti Uber che sono stati invitati a partecipare all'IPO nell'ambito di un programma di fidelizzazione.

CONTABILIZZARE LE PERDITE O CONFIDARE IN UNA RIPRESA?


Che fare? Vendere e mettersi il cuore in pace o aspettare che il titolo si riprenda? L’elenco di quanti a Wall Street sono diventati scettici circa le prospettive di Uber sono in continuo aumento sulla scia dei tanti problemi sollevati dagli esperti di settore e dagli analisti. Il modello di business di Uber è incerto, le perdite sono ingenti, la compagnia è giovane e il suo management non sembra aver ancora tracciato la strada della crescita sostenibile. Insomma, il titolo è sopravvalutato anche perché non è affatto chiaro se realizzerà mai profitti. Alla luce di tutto questo non c’è da stupirsi che l'Ipo sia stato un tale disastro. Tutto giusto? Bene, questo è ciò che Wall Street sta dicendo in questo momento. Il problema è che non si tratta soltanto di ciò che si mormora adesso a Wall Street su Uber ma anche di ciò che nella principale piazza finanziaria del mondo si stava dicendo su Amazon circa 20 anni fa e su Facebook circa sette anni fa.

AZIENDE INNOVATIVE CON BUSINESS RIVOLUZIONARI


Aziende innovative e al contempo rivoluzionarie come Uber, Amazon, Google e Facebook sono semplicemente impossibili da valutare correttamente nei primi tempi. Di solito le quotazioni di Borsa affrontano le montagne russe mentre stanno le società combattono con problematiche che in quel momento sembrano insormontabili. “Quando ho rivisitato il passato e ho guardato attraverso i ritagli di giornale dei primi tempi di altre società caratterizzate da ‘cambio di gioco’ e che avevano una piattaforma di business su Internet, ho trovato molte delle stesse cose che si dicevano su di loro che si stanno dicendo ora su Uber” ha dichiarato a MarketWatch Brett Arends, scrittore e giornalista americano.

AMAZON


Il report preferito durante le sue ricerche riguardava Amazon nel 2000, all’interno del quale si leggeva che l’azienda fondata da Jeff Bezos poteva essere a rischio di fallimento. "La combinazione di flusso di cassa negativo, cattiva gestione del capitale circolante e carico di debito elevato in un ambiente ipercompetitivo metterà la società a rischio estremamente elevato" scrivevano gli autori del rapporto che, ironia della sorte, erano analisti di Lehman Brothers, la banca d’affari Usa che sarebbe fallita nel 2008 trascinando sull’orlo del baratro l’intero sistema finanziario internazionale. Il titolo Amazon si è dimezzato in due diverse occasioni nel 1999. Dopo aver raggiunto il picco alla fine di quell'anno a 107 dollari, nell'ottobre 2001, un mese dopo gli attacchi terroristici a New York, era crollato a 6 dollari: oggi viaggia a 1.776 dollari e, in base al consenso degli analisti, vanta un target price medio a 12 mesi di 2.261 dollari.

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FACEBOOK


Anche l’Ipo di Facebook nel 2012 è stata un disastro. I problemi tecnici iniziali sono stati accompagnati dal crollo del titolo in Borsa mentre crescevano i dubbi sul futuro dell'azienda. Inoltre Wall Street è rimasta scioccata dal miliardo di dollari che la società ha pagato per un sito Web che in quel momento era di nicchia. Qual è questo sito web? Instagram. Il titolo Facebook è precipitato da 38 a 18 dollari con gli analisti di Wall Street che hanno in fretta ridotto i loro obiettivi di prezzo da 30 a 20 dollari. Oggi il titolo quota 185 dollari e gli stessi analisti che sette anni fa degradarono le aspettative dell’azienda fondata da Mark Zuckerberg adesso ritengono possibile che il prezzo di Facebook possa raggiungere, in media, i 232 dollari nei prossimi 12 mesi.

NETFLIX


Problemi simili hanno penalizzato pure Netflix sia nei suoi primi giorni di quotazione e sia, di nuovo, nella crisi del 2011, quando il Ceo Reed Hastings ha pasticciato sui prezzi del servizio offerto determinando una fuga di clienti e la necessità di nuovi capitali. Il risultato fu che il prezzo delle azioni precipitò di tre quarti. Oggi, invece, veleggia su livelli pari a circa 30 volte dai minimi storici.

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LE DIFFICOLTÀ DEGLI ANALISTI


Certo per ogni Amazon, Facebook e Netflix che hanno continuato a prosperare, ci sono state centinaia di altre iniziative fallite. I successi futuri sono difficili da essere valutati perché gli analisti sono bravi ad esaminare i dati finanziari attuali e ad estrapolare le tendenze recenti proiettandole nel futuro ma non sono in grado di intravedere nuove strategie di crescita o di diffusione dei nuovi business: Wall Street è in difficoltà nel valutare aziende dai business veramente rivoluzionari. Tornando a Uber, la compagnia sta perdendo denaro e gli analisti prevedono perdite almeno fino al 2023. Costi, regolamenti e concorrenza potrebbero spazzare via eventuali guadagni futuri. Le perdite contabili dell'ultimo trimestre sono state pari a 5,2 miliardi di dollari. Forse la compagnia svanirà o verrà rilevata ma gli investitori convinti delle potenzialità del titolo non demordono come la maggior parte degli analisti il cui target price a 12 mesi si colloca in media a 51,6 dollari per azione, cioè il 60 per cento al di sopra dell’attuale quotazione di mercato.

NON RISCHIARE PIÙ DEL 5% DEL PORTAFOGLIO


In conclusione: aggrapparsi a questo titolo non è una questione di calcolo quanto piuttosto una questione di fede. Per il resto vale ciò che suggeriscono gli esperti di finanza personale i quali, in generale, raccomandano di evitare il fai da te su singole azioni: in caso proprio ci si ostini per questa soluzione, meglio non rischiare più del 5% del portafoglio su un singolo titolo, in particolare uno ad alto rischio.
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