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Alex Lee

Azionario Giappone, il grande incompreso

Le imprese giapponesi sono diventate più resilienti e sono ben posizionate per beneficiare della reflazione globale, spiega un’analisi di Columbia Threadneedle Investments. Tuttavia, gli investitori globali continuano a sottovalutare questi segnali

di Chiara Merico 19 Aprile 2019 09:30

Il mercato azionario giapponese sconta un sentiment estremamente negativo: nel 2018, infatti, le vendite nette di titoli nipponici da parte di investitori di altri Paesi hanno raggiunto il livello più alto dal 1987, anno del tristemente noto crollo del Lunedì nero. Un’ondata di vendite che, nota Alex Lee, gestore azionario di Columbia Threadneedle Investments, “non è stata arginata neppure dai segnali della crescente capacità di tenuta dell’economia nazionale e dall’evoluzione del comportamento delle aziende, che ha spinto i margini di profitto verso livelli storicamente elevati”.

UN MERCATO FORTEMENTE CICLICO


A spingere gli investitori alla cautela è soprattutto la convinzione che il Giappone sia fortemente orientato al ciclo economico globale: di conseguenza, spiega Lee,“i segnali di un rallentamento della crescita mondiale mettono seriamente in dubbio l’opportunità di investire in azioni giapponesi”. Non c’è dubbio che il Giappone sia un mercato ciclico: tuttavia, “questa constatazione non tiene conto della portata dei cambiamenti avvenuti nell’economia giapponese e nella mentalità delle imprese e dei consumatori, alla luce dei quali possiamo affermare che l’esposizione del Paese al ciclo globale è destinata a diminuire nel tempo”.

IL PAESE È USCITO DAL PANTANO DELLA DEFLAZIONE


Guardando nel dettaglio, dopo due decenni di deflazione radicata, il prodotto interno lordo nominale del Giappone è tornato a crescere. Un cambiamento fondamentale ha riguardato il deflatore del Pil, che era rimasto stabilmente negativo dalla metà degli anni ‘90 ma che è tornato in territorio positivo negli ultimi anni. Si tratta in parte di un effetto ciclico che riflette un’attenuazione delle pressioni deflazionistiche globali e un’accelerazione della crescita internazionale. Tuttavia, importanti cambiamenti si sono registrati anche a livello nazionale.


UN CAMBIAMENTO DI MENTALITA’


Nel Paese si è verificato infatti un importante mutamento di mentalità. In un contesto di deflazione prolungata, infatti, per lunghi anni gli aumenti dei prezzi in Giappone sono stati considerati socialmente inaccettabili. Ad esempio, ricorda Lee, “nel 2016 il produttore di dessert Akagi Nyuguyo ha lanciato una famosa campagna pubblicitaria nella quale si scusava con i propri clienti per aver aumentato i prezzi per la prima volta in 25 anni”. L’anno dopo, invece, “la nota società di spedizioni Yamato Holdings ha alzato i prezzi per la prima volta in 27 anni e la mossa ha destato prevedibilmente molto scalpore. Tuttavia, Yamato ha spiegato che non poteva più offrire un servizio di consegne di prim’ordine a prezzi stracciati se voleva pagare ai dipendenti un equo salario e realizzare un profitto”. E adesso i clienti hanno cambiato opinione: la mentalità deflazionistica secondo la quale i prezzi non possono mai salire è stata sostituita dall’accettazione del fatto che l’inflazione è talvolta appropriata. Le aziende sentono di essere finalmente in grado di aumentare i prezzi per riflettere la qualità dei propri beni e servizi senza doversi scusare con i clienti. Questi rincari contribuiscono a proteggere i loro margini e favoriscono una tendenza al miglioramento della redditività.

IL TEMA DELL’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE


Tuttavia, il ritorno a un contesto più inflazionistico sarà graduale e moderato. Sembra improbabile, nota l’esperto, che “l’obiettivo di inflazione del 2% della Bank of Japan venga raggiunto nel prossimo futuro, anche se l’uscita dallo scenario di deflazione è di per sé molto importante e incoraggiante”. Su questa dinamica pesa molto il fattore dell’invecchiamento della popolazione: “Le condizioni sul mercato del lavoro sono già estremamente tese e la situazione non potrà che aggravarsi a fronte della continua diminuzione della popolazione in età lavorativa, che costituisce un ostacolo significativo alla crescita economica. Ma il Giappone è consapevole che il suo bacino di lavoratori ha cominciato a esaurirsi e ha iniziato a prendere contromisure”.

IL PAESE PUNTA SU DONNE E IMMIGRAZIONE


Ad esempio, richiamare nella forza lavoro persone in precedenza inattive, in particolare donne e anziani. Il Il tasso di attività delle donne in Giappone è già superiore a quello degli Stati Uniti, grazie alle politiche specificamente mirate a incrementare il tasso di partecipazione femminile che vanno sotto il nome di “Womenomics”. “Vi sono anche segnali di un cambiamento in atto negli atteggiamenti tradizionalmente titubanti del Giappone nei confronti dell’immigrazione e dei lavoratori esteri”, rimarca Lee.


FATTORE PRODUTTIVITA’


In ogni caso, nonostante queste misure, “il fattore chiave che determinerà la capacità del Paese di far crescere la propria economia sarà la produttività”. Su questo fronte il quadro è più contrastato: “Dopo la crisi finanziaria globale le aree dell’economia più esposte alla concorrenza mondiale, in particolare le imprese manifatturiere, hanno registrato una crescita molto sostenuta della produttività che ha permesso al settore di restare competitivo a livello mondiale. Per contro, nei comparti non manifatturieri più orientati all’economia interna e non esposti alla concorrenza globale, la crescita della produttività è stata nettamente inferiore a quella di altre grandi economie”.

ANCHE LE IMPRESE GIAPPONESI HANNO CAMBIATO DIREZIONE


Di fronte a un quadro mutato, anche le aziende giapponesi hanno registrato un cambio di mentalità. In passato, fa sapere il gestore, queste realtà “avevano l’abitudine di effettuare grossi investimenti nelle fasi di espansione economica, creando una dannosa situazione di sovrainvestimento all’apice del ciclo, seguita da un crollo della redditività e da un’impennata delle svalutazioni nelle fasi di rallentamento della crescita”. Oggi, invece, “le imprese sembrano adottare un approccio molto più meditato, anche perché stentano ad assicurarsi la manodopera di cui hanno bisogno per espandersi. Di conseguenza, i loro investimenti sono sempre più concentrati sull’efficienza anziché sulla crescita della capacità”.

AUMENTO DEGLI UTILI E DEI MARGINI


Al momento, fa sapere l’esperto di Columbia Threadneedle Investments, “i margini di profitto delle aziende giapponesi sono in aumento e la loro redditività è ai massimi storici. Ciò è dovuto in parte ai cambiamenti di comportamento sopra citati, ma è anche il risultato di diversi anni di sofferte ristrutturazioni iniziate all’indomani della crisi finanziaria globale”.

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UNA DURA LEZIONE


In conclusione, nota Lee, “non c’è dubbio che il Giappone sia ancora orientato al ciclo globale, ma tutto lascia pensare che gli effetti negativi di tale esposizione siano meno pronunciati di un tempo, anche perché le imprese giapponesi hanno imparato la dura lezione impartita dalla loro tradizionale preferenza per gli investimenti marcatamente pro-ciclici. In breve, oggi il Giappone è in una posizione migliore di quella in cui si è trovato durante i rallentamenti del passato, ma ciò non si riflette nelle valutazioni azionarie perché gli investitori continuano a ignorare i cambiamenti bottom-up operati dalle aziende”.
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