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Il petrolio potrebbe puntare a 100 dollari, ma attenti alle ricadute

Geopolitica e fattori tecnici puntano a un possibile forte rialzo del prezzo del petrolio nei prossimi mesi, ma nel medio termine si potrebbe prospettare anche una brusca caduta dovuta a un calo della domanda.

26 Settembre 2018 07:50

Petrolio a 90 dollari? O magari a 100? Le previsioni si moltiplicano mentre il prezzo del Brent si confronta con una forte resistenza tecnica poco sopra 80 dollari, che se dovesse venir rotta al rialzo, almeno secondo gli analisti tecnici, potrebbe aprire la strada a un’avanzata importante. BofA Merrill Lynch ha un obiettivo di prezzo a 95 dollari per metà del 2019, JP Morgan lo vede arrivare a 90 dollari come effetto soprattutto delle sanzioni americane contro l’Iran. Nick Cunningham su oilprice.com vede una possibilità concreta che arrivi a quota 100 e non esclude del tutto che possa tornare ai massimi dell’estate 2008, prima del crac Lehman, quando andò a sfiorare i 150 dollari.

RITRACCIAMENTO DI FIBONACCI


Poi ci sono gli analisti tecnici che citano un ritracciamento di Fibonacci di oltre il 60% della caduta del prezzo tra la seconda metà del 2014 e l’inizio del 2016, un percorso in discesa da 90 dollari, dai massimi in area 120 ai minimi in area 30. Fibonacci era un matematico pisano del XII secolo alle cui serie numeriche si ispirano alcune analisi tecniche ancora oggi in voga sui mercati finanziari.

LE MONTAGNE RUSSE DEL 2008-2009


Sul prezzo del petrolio influisce una serie di fattori molto ampia, dal gioco della domanda e dell’offerta, alla geopolitica, al livello del dollaro americano, che di solito si muove inversamente rispetto al petrolio. Infatti ai tempi del picco dell’estate 2008 il biglietto verde era ai minimi contro euro, fino a toccare il livello di 1,6 dollari per una moneta unica. Poi ci sono anche i fattori regolatori, come quelli che saranno introdotti dalla International Maritime Organization nel 2020 che potrebbero comprimere significativamente le forniture via mare. Va ricordato che al picco dell’estate del 2008 seguì una caduta verticale molto più forte e veloce di quella del 2014-2016, che portò il prezzo in picchiata a sfiorare area 30 dollari a inizio del 2009, come effetto della recessione globale della Grande Crisi. Tra i fattori geopolitici spicca l’Iran, dove le sanzioni USA potrebbero causare una diminuzione della produzione di un milione di barili al giorno.

IL FRENO DEL DOLLARO FORTE


Poi c’è appunto il gioco dell’offerta e della domanda, che l’International Energy Agency vede sostenuta per tutto il 2018 con una crescita stimata in 1,4 milioni di barili al giorno rispetto a un anno prima. Ma i mercati emergenti, che ne rappresentano il grosso, sono in difficoltà sul fronte del debito e alle prese con fughe di capitali, fragilità che potrebbero portare a un rallentamento delle economie e a un calo della richiesta di petrolio. Un altro freno a un rialzo ulteriore del prezzo del barile è il dollaro forte, che da sempre fa da calmiere ai prezzi delle materie prime a cominciare proprio dal petrolio. Quindi uno degli scenari ipotizzati è quello di uno strappo al rialzo, causato da una miscela di fattori tecnici e geopolitici, a cui però potrebbe seguire una brusca caduta, sullo schema 2008-2009 anche se in scala minore.

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RISORSE SAUDITE LIMITATE


Il quadro a breve resta comunque orientato al rialzo, la domanda globale continua a salire e una serie di fattori limitano una crescita adeguata dell’offerta, che va più verso una contrazione che verso un aumento.  Il test dovrebbe arrivare nell’ultimo trimestre dell’anno, periodo in cui alcune stime puntano a un gap tra domanda e offerta stimato fino a 2 milioni di barili al giorno, il che potrebbe appunto spingere i prezzi a superare i 100 dollari. Ma ci sono anche produttori che potrebbero essere pronti a colmare i buchi dell’offerta, a cominciare dall’Arabia Saudita, da cui escono oggi circa 10,4 milioni di barili al giorno. Ma anche qui le risorse non sono infinite e al massimo si potrebbe arrivare a 12 milioni. Basterebbero?
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