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I lussi che la Fed può permettersi e la BCE no

In America la politica è tornata a guidare l’economia con la riforma fiscale di Trump e la gestione del deficit di Mnuchin. In Europa continua a essere drammaticamente assente. E Draghi ha i mesi contati.

26 Febbraio 2018 09:47
financialounge -  BCE Federal Reserve Jerome Powell Mario Draghi tassi di interesse Weekly Bulletin

Cominciamo da una notizia abbastanza difficile da trovare sui media europei. Venerdì 23 febbraio, per la prima volta da quando è stato eletto, Trump ha registrato un tasso di approvazione degli elettori americani superiore alle disapprovazioni: il 50% contro il 49%, secondo Rasmussen Reports, il più accurato rilevatore degli umori politici negli Stati Uniti. Alla stessa distanza dall’elezione Obama, partito con un’approvazione stellare del 67%, era al 45%.  Altra novità della settimana, tra i ticker delle tv finanziarie USA, quelli che girano in continuazione per dare in tempo reale i prezzi di azioni, indici, bond, valute, etc., è apparso il bitcoin, evidentemente promosso ad asset class, con i prezzi dei futures quotati a Chicago.

IL REPORT DELLA FED
E ora passiamo al tema della prossima settimana, che si chiama Jay Powell, il nuovo capo della Federal Reserve che martedì 28 febbraio parla per la prima volta davanti al Congresso americano e che tre settimane dopo presiederà la riunione del FOMC da cui, nelle attese di tutti, dovrebbe uscire un rialzo di un altro quarto di punto, che porterebbe il costo del denaro in America all’1,75%.
In realtà, come vede l’economia la Fed lo ha già fatto sapere a rappresentanti e senatori con il report semestrale sulla politica monetaria che ha depositato a Capitol Hill venerdì scorso. Nel documento non ci sono indicazioni su quello che spaventa il mercato, vale a dire che la Banca Centrale possa diventare più aggressiva del previsto nel suo cammino verso la normalità monetaria.

APPROFONDIMENTO
La Federal Reserve di Powell non sarà un libro aperto

Il report si limita a ripetere che l’economia continua a migliorare, con un’inflazione destinata a restare intorno o poco sotto il target del 2%  per eventualmente accelerare a fine anno. E poi il report si concentra sul mercato del lavoro per rimarcare che i salari non stanno accelerando troppo rapidamente nonostante si sia praticamente alla piena occupazione, probabilmente per l’effetto calmierante della robotizzazione e della rivoluzione digitale, forze che potrebbero continuare a tenere bassa l’inflazione. Questo non vuol dire che la Federal Reserve non continuerà ad alzare gradualmente i tassi. Il suo obiettivo è tornare alla normalità monetaria, vale a dire un costo del denaro che si posiziona un po’ al di sopra dell’inflazione. Diciamo che il 3% è il livello giusto alla fine del ciclo di rialzi? Vorrebbe dire altri tre quest’anno e altrettanti il prossimo.

LE ARMI A DISPOSIZIONE
C’è da scommettere che martedì Powell cercherà di aggiungere il meno possibile a quanto sopra, anche se sarà messo sotto pressione nella sessione Q&A. Ma sembra proprio che il successore di Janet Yellen si possa permettere il lusso di tornare a fare strettamente il suo mestiere, creare le condizioni per la creazione di occupazione e garantire la stabilità monetaria interna (quella esterna, vale a dire il rapporto tra dollaro e le altre monete non è un suo problema).  Al resto, ci pensa la politica, con la riforma fiscale, la gestione di un deficit che richiederà nuove emissioni di debito per 1.000 miliardi quest’anno e una politica commerciale aiutata dal dollaro debole. A questo ci pensano Trump e il segretario al Tesoro Mnuchin (qualcuno si ricorda come si chiamava il suo predecessore nell’amministrazione Obama?) Quando arriverà una recessione – che ricordiamo non è la fine del mondo ma semplicemente due trimestri consecutivi con il segno meno davanti al PIL – la Federal Reserve avrà i margini per abbassare il costo del denaro quel tanto che basta a far ripartire l’economia.

IL SUPPLENTE DRAGHI
Purtroppo per Mario Draghi, e sicuramente non per colpa sua, tutti questi lussi la BCE non se li può permettere. Il problema, a differenza della Fed, è che in Europa la politica è assente, e continuerà probabilmente a restarlo per un bel po’. E questo costringe Draghi a continuare a fare il supplente. Ma in un clima sempre più difficile man mano che si avvicina la scadenza del suo mandato a ottobre 2019. Ha un bel dire il capo della Bundesbank Jens Weidmann, che settimana scorsa si è intrattenuto a pranzo con il Financial Times, che la banca centrale non può fare il mestiere dei governi. Quali governi? Quello che sta a Bruxelles, guidato da un signore che indulge con il Chateau Margaux e dopo pranzo si lascia andare a dichiarazioni sulle elezioni italiane che fanno sbandare i mercati? O quello che sta a Berlino, dove Angela Merkel a quasi sei mesi dalle elezioni non riesce ancora a mettere in piedi la nuova versione della Grande Coalizione? La Fed può permettersi di procedere con tranquillità verso la normalizzazione monetaria perché la politica finalmente c’è.

APPROFONDIMENTO
Draghi, Mnuchin e la forza del dollaro debole

La BCE no perché è drammaticamente assente, non c’è in vista una riforma fiscale o una rifondazione monetaria europea che prenda il posto dello stimolo di Draghi per ridare fiducia all’economia. Che, senza la rete di protezione dello stimolo, rischierebbe di sentirsi il vuoto sotto i piedi.

BOTTOM LINE
Purtroppo il trattato di Maastricht, a differenza di Roma ai tempi della Repubblica, non prevede l’istituto della dittatura, una magistratura suprema e temporanea cui affidare tutti i poteri in attesa che rientri l’emergenza interna o esterna. Dal 2011 in Europa questo alto magistrato di fatto esiste, e si chiama Mario Draghi, ma il suo mandato non è a vita. Il tempo per ritrovare la politica europea smarrita si è ristretto a una ventina di mesi. Ma il mercato probabilmente non avrà la pazienza di aspettare fino all’ultimo giorno per trarre le sue conclusioni.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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