BCE
Draghi, Mnuchin e la forza del dollaro debole
Commodity in rialzo e Tesoro USA spingono al ribasso il biglietto verde e costringono l’euro a salire. E non è detto che a Draghi dispiaccia, perché taglia gli artigli dei falchi.
26 Gennaio 2018 07:49
Non si può avere sempre tutto. Non si può avere un’economia in salute e una moneta che si indebolisce. Almeno non è concesso agli europei. Mario Draghi ha dovuto prendere atto della ripresa in corso in Europa, e questo ha incoraggiato gli acquisti di euro, che mentre parlava ieri a Francoforte ha sfondato 1,25 su dollaro. Lo stesso tuttavia non vale per gli americani, che sembrano potersi permettere un’economia che va a gonfie vele e una moneta che si deprezza. Non solo contro l'euro, ma contro tutte le principali valute, soprattutto dei paesi emergenti produttori di commodity.
Ieri l’MSCI Emerging Markets Currency Index ha toccato i massimi di sempre, altro che euro. È l’effetto combinato delle parole del ministro USA del Tesoro Mnuchin, che per la prima volta ha infranto il tabù affermando che un dollaro debole ‘conviene’ agli Stati Uniti, e dei prezzi delle materie prime che corrono a traino del petrolio. Dal momento che le commodity si pagano in dollari, più i loro prezzi salgono più il dollaro scende, perché il mercato cerca un punto di equilibrio.
APPROFONDIMENTO
Dietro la debolezza innaturale del dollaro c’è un nuovo equilibrio governo-Fed
Il mercato si aspettava anche che Draghi lanciasse qualche tipo di allarme o almeno esprimesse preoccupazione per l’euro forte, che indubbiamente non fa bene alle esportazioni, e quindi alla ripresa europea. Invece ha criticato Mnuchin per essersi spinto oltre le regole non scritte, facendo capire che il dollaro può essere manovrato per guadagnare competitività. Anche se Trump ha poi provato a correggere il tiro. Ma forse sotto sotto un euro forte non dispiace a Mario Draghi.
Per i falchi della BCE, infatti, un euro forte rende molto difficile insistere a chiedere una chiusura anticipata dello stimolo monetario e un ritorno a tassi di interesse positivi. Vorrebbe semplicemente dire un euro ancora più forte. Il che alla Germania, per parlare del paese dove i falchi sono di casa, non farebbe molto piacere, visto che il punto di forza della sua economia sono le esportazioni.
Ieri l’MSCI Emerging Markets Currency Index ha toccato i massimi di sempre, altro che euro. È l’effetto combinato delle parole del ministro USA del Tesoro Mnuchin, che per la prima volta ha infranto il tabù affermando che un dollaro debole ‘conviene’ agli Stati Uniti, e dei prezzi delle materie prime che corrono a traino del petrolio. Dal momento che le commodity si pagano in dollari, più i loro prezzi salgono più il dollaro scende, perché il mercato cerca un punto di equilibrio.
APPROFONDIMENTO
Dietro la debolezza innaturale del dollaro c’è un nuovo equilibrio governo-Fed
Il mercato si aspettava anche che Draghi lanciasse qualche tipo di allarme o almeno esprimesse preoccupazione per l’euro forte, che indubbiamente non fa bene alle esportazioni, e quindi alla ripresa europea. Invece ha criticato Mnuchin per essersi spinto oltre le regole non scritte, facendo capire che il dollaro può essere manovrato per guadagnare competitività. Anche se Trump ha poi provato a correggere il tiro. Ma forse sotto sotto un euro forte non dispiace a Mario Draghi.
Per i falchi della BCE, infatti, un euro forte rende molto difficile insistere a chiedere una chiusura anticipata dello stimolo monetario e un ritorno a tassi di interesse positivi. Vorrebbe semplicemente dire un euro ancora più forte. Il che alla Germania, per parlare del paese dove i falchi sono di casa, non farebbe molto piacere, visto che il punto di forza della sua economia sono le esportazioni.
Trending