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Arabia Saudita

Quel taxi chiamato Bitcoin

La corsa dei prezzi della valuta virtuale non segnala il rischio di una bolla sistemica. Molte coincidenze puntano invece a una relazione con quello che si muove nel Golfo.

4 Dicembre 2017 09:44
financialounge -  Arabia Saudita bitcoin bolla speculativa criptovalute ethereum

Mentre le economie e i mercati si preparano ad entrare di slancio nel 2018 sull’onda della riforma fiscale che Trump ha quasi portato a casa, c’è un tema che tiene banco. Nel weekend il WSJ online gli ha dedicato metà dell’home page con diversi articoli e analisi. Bitcoin? Indovinato! Proviamo anche noi a fare qualche ragionamento, ma in modo ovviamente “scorretto”. Dimentichiamo la tecnologia e viaggiamo terra terra, seguendo il profumo dei dollari e del petrolio.

Partiamo dai numeri. In meno di 12 mesi ha decuplicato il (presunto) valore, da poco più di 1.000 dollari a oltre 10.000, con una accelerazione verticale nella parte finale del 2017. Aveva già fatto un movimento analogo quattro anni fa, partendo da poco più di 100 dollari per arrivare a toccare quota 1.000. La capitalizzazione di mercato (anche qui non è la parola giusta perché non somiglia agli altri mercati finanziari che conosciamo) si è mossa in corrispondenza: una decina di miliardi di dollari a inizio anno, poco più di 150 miliardi (per l’esattezza 158 miliardi secondo i dati del sito specializzato coindesk) a dicembre. In tutto le criptovalute capitalizzano poco più di 300 miliardi di dollari, con la numero due ethereum che non arriva a 50 miliardi. Da giugno il valore (sempre presunto) di mercato di tutte le valute virtuali è più che triplicato ed esattamente un mese fa ha varcato la soglia dei 200 miliardi di dollari. È interessante notare che i volumi scambiati giornalmente sul solo Bitcoin si sono mantenuti sostanzialmente stabili per tutto il 2017, tra i 200.000 e i 350.000 pezzi passati di mano ogni giorno. In pratica sembra che siano sempre gli stessi Bitcoin a passare di mano a un prezzo sempre più alto. Qui potrebbe stare una delle ragioni tecniche del rialzo delle ultime settimane: la quantità disponibile è limitata, la domanda sale e il prezzo anche.

[caption id="attachment_121212" align="alignnone" width="800"]L'andamento del valore del Bitcoin da gennaio 2017 ad oggi (fonte: Coindesk.com) L'andamento del valore del Bitcoin da gennaio 2017 ad oggi (fonte: Coindesk.com)[/caption]

Ma se invece di guardare agli incrementi percentuali, che sono spettacolari, guardiamo i valori assoluti, entriamo in un altro mondo. Un esempio per dare l’idea. La britannica Barclays è la diciassettesima al mondo per asset, pari mal contati a 1.500 miliardi di dollari. La sola svalutazione della sterlina seguita alla Brexit le è costata una riduzione del valore degli asset di quasi 300 miliardi di dollari. Vale a dire l’intera capitalizzazione raggiunta oggi da tutte le cryptovalute, e il doppio di quella del Bitcoin. Le prime quattro banche del mondo, tutte cinesi, hanno asset ciascuna per almeno 3.000 miliardi di dollari, dieci volte la (presunta) capitalizzazione delle monete virtuali e venti volte quella del Bitcoin. L’americana JP Morgan, che nella classifica mondiale è al sesto posto dopo la giapponese Mitsubishi, ha asset per 2.500 miliardi di dollari, diciassette volte la capitalizzazione, sempre presunta, del Bitcoin. I valori assoluti ci dicono che il Bitcoin è un fatto del tutto marginale, rispetto al sistema finanziario globale, che non racchiude nessun tipo di rischio sistemico. E questo spiega la distrazione con cui i regolatori globali, a cominciare dalle banche centrali, guardano al fenomeno.

Resta l’enigma del prezzo decuplicato in 11 mesi. Se andiamo a vedere il grafico del Bitcoin, fino a maggio si discosta poco dai livelli di inizio anno, un rialzo del 30% in 5 mesi. Poi inizia a salire sempre più velocemente sino ad arrivare al mille per cento o giù di lì a fine novembre. Cosa succede a giugno? Succede che esplode senza preavviso la crisi tra Arabia Saudita e alleati con il Qatar, accusato di essere troppo vicino all’Iran e troppo tollerante con i terroristi e colpito da una serie di sanzioni economiche. Il Qatar è una specie di enorme cassaforte nella sabbia del deserto in una penisola nel bel mezzo del Golfo Persico proprio di fronte all’Iran. Unico confine quello con l’Arabia. E facile immaginare che da quel momento le montagne di dollari custodite nelle casseforti delle banche di Doha abbiano cominciato a sentire l’irresistibile impulso a cambiare aria. Non una situazione nuova da quelle parti.

Di nuovo c’è che a metà 2017 è disponibile per il denaro un nuovo mezzo di trasporto, non visibile né intercettabile, si chiama Bitcoin. È come un taxi, lo prendi e ti porta a destinazione, a Londra, Singapore, dove i dollari possono godere di ogni comfort. A differenza del taxi, però, non ha né autista né tassametro. Te lo devi comprare. Si guida da solo, come ogni mezzo di trasporto che si rispetti nell’era della sharing economy, e quando arrivi a destinazione lo rivendi, al prossimo che ne ha bisogno. Il bello di questo taxi è che quando arrivi a destinazione il suo prezzo è raddoppiato. Alla partenza lo hai pagato 100.000 dollari e all’arrivo lo rivendi al prossimo passeggero a 200.000. Finché dura è un bel gioco. Metti i quattrini al sicuro e ci guadagni anche. Il taxi è molto richiesto, tra giugno e settembre il prezzo sale fino a sfiorare i 5.000 dollari, cinque volte quello di inizio anno. Poi si ferma, forse i clienti sono diminuiti. Ma a fine ottobre riprende a correre, ed accelera. Cosa è successo? Che il nuovo principe al comando a Riyadh decide di fare una bella purga di reali e ministri, minacciando di congelarne gli asset, qualcosa come mille miliardi di dollari. Guarda caso il taxi ricomincia a viaggiare freneticamente, e in poco più di un mese il prezzo raddoppia. È una ricostruzione molto libera, di fantafinanza, supportata dalle coincidenze e dal ragionamento più che da prove concrete. Ma se funziona così, prima o poi l’ultimo taxi sarà comprato a 20.000 dollari e l’ultimo passeggero non troverà il prossimo compratore, restando con il cerino, anzi il Bitcoin in mano.

Bottom line. Fino a che le grandezze rimangono dell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari (presunti) il Bitcoin non rappresenta un rischio sistemico per il sistema finanziario. Non è una bolla che se esplode può far male a tutti come è successo con i subprime e Lehman nel 2008. È un circuito isolato e non ci sono possibilità di contagio. Qualcuno certamente può farsi male, ma solo se se la va a cercare.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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