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La politica non c’è? Meglio così

Mentre Trump incassa la miglior settimana della sua presidenza, l’Europa si gode un’economia in gran forma. Le incognite politiche non fanno più paura, almeno finchè regna Draghi.

6 Novembre 2017 09:30
financialounge -  donald Trump Eurozona Mario Draghi populismo riforma fiscale USA Weekly Bulletin

A volte un dettaglio può raccontare molto. Sulla prima pagina di un grande giornale italiano sabato scorso, un autorevole commentatore spiega perché Donald Trump proprio non riesca a farsi amare dal mondo. Peccato che sopra campeggi la foto-notizia di una ragazza giapponese che accoglie il presidente americano in visita nel suo paese esibendo un grande cartello con la scritta: JAPAN LOVES TRUMP. L’immagine fa passare la voglia di leggere l’analisi. Fatto sta che The Donald prima di partire per l’Asia ha portato a casa la miglior settimana (per lui) da quando è presidente. Una pioggia di dati fotografa un’economia che scoppia di salute, Wall Street infila un record al giorno, la riforma fiscale va avanti abbastanza spedita, licenzia la Yellen facendole i complimenti e la sostituisce con l’amico del suo ministro del Tesoro, va in TV insieme al presidente di Broadcom per annunciare che la multinazionale dei semiconduttori trasloca da Singapore in USA, rimpatriando così 20 miliardi di dollari di ricavi su cui a questo punto pagherà le tasse che prima (legittimamente) evitava. Intanto il fronte democratico è alle prese con gli scandali sessuali dei suoi testimonial di Hollywood e non riesce a trovare una faccia che rimpiazzi quelle usurate di Hillary e Obama.

Una riga sulla riforma fiscale: più che un taglio drastico di tasse alla Reagan è una radicale semplificazione. Prendiamo la tassa sulle successioni, è al 40%, uno dei livelli più alti del mondo sviluppato. Ma nessuno la paga, basta intestare immobili e beni a una società al costo di una marca da bollo prima di passare a miglior vita e gli eredi ereditano gratis. Una tassa che non paga nessuno vuol dire solo costi in burocrazia inutile. Meglio abolirla, come fa la riforma Trump.

Mentre il presunto populista Trump gongola, i populisti europei si sgonfiano. In Belgio il catalano Puigdemont gioca a fare il martire della libertà, ma evita di varcare la linea rossa tracciata da Madrid, in Italia i M5S propongono un Di Maio più ’istituzionale’ possibile mentre l’istituzionalissimo Gentiloni prova a rubare la casacca di candidato premier all’esagitato e maldestro Renzi, in Germania la Merkel si prende un tempo infinito per trattare la formazione del nuovo governo lasciando decantare l’ondata nazionalista e anti-europea della AfD. Di Brexit non si parla quasi più. In Francia Macron sembra desaparecido. Intanto la Grecia è ‘guarita’, e Cipro è passata dall’orlo del default al boom, con un’economia che si prepara a chiudere il 2017 in crescita del 3,5% infilando il terzo anno consecutivo di ripresa. Nessuno si sogna più di accusare l’euro come radice di tutti i mali. Insomma, la politica europea vagola in un labirinto di cui non riesce a trovare l’uscita, ma sembra non importi niente a nessuno. Come mai? "It’s the economy, stupid!", direbbe il vecchio Bill Clinton. L’economia del vecchio continente sta facendo meglio delle aspettative più rosee, alla faccia della politica che non c’è. Le elezioni italiane in arrivo, non si sa se a marzo o maggio, per le economie e i mercati sono un ‘non evento’. Chiunque vinca starà molto attento a non rovinare questo momento magico.

Il fatto è che anche l’Europa ha il suo Trump, anche se gli somiglia poco, che si chiama Mario Draghi. Il capo della BCE è la polizza assicurativa della ripresa economica, che scadrà insieme al suo mandato solo alla fine del 2019. Fino ad allora imprese e famiglie potranno contare sui tassi bassi e su una finestra di stimolo monetario che resta sempre aperta, impedendo tra l’altro all’euro di rafforzarsi oltre quota 1,20 sul dollaro, un livello a cui sembra che Draghi abbia deciso di alzare un muro più alto di quello che Trump vuol costruire alla frontiera con il Messico. Con ovvio beneficio per le esportazioni europee. L’elettorato europeo sembra averlo capito e probabilmente il numero sempre più alto di gente che non va a votare va letto anche come un voto di fiducia a SuperMario e al suo regime di reggenza. Finché dura...

Bottom line. L’economia globale va, i mercati anche. Sia che la politica sia ‘volente’, come in America e anche in Giappone, che ‘nolente’ come in Europa. Il ricambio alla guida della Fed, deciso opportunamente molto per tempo, ha disinnescato il rischio di uno shock da comunicazioni intempestive o maldestre sul Quantitative Tightnening. L’unico rischio ancora in giro resta quello dello shock esterno geopolitico. I focolai potenziali non mancano, ma siamo nel campo delle cose che sappiamo di non sapere. Poi ci sono quelle che non sappiamo di non sapere, e sono le più pericolose.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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