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NPL, se continuiamo a dare la colpa al cane

La tragedia nazionale andata in scena con la messa al rogo di Danièle Nouy racconta molto sui vizi italiani, da cui non si riesce a liberarsi.

9 Ottobre 2017 10:38
financialounge -  banche italiane BCE Daniele Nouy NPL PIR settore bancario Weekly Bulletin

Lo psicodramma andato in scena sui media italiani dopo l’annuncio della BCE sui nuovi criteri da adottare per la valutazione dei NPL nei bilanci bancari rappresenta una parabola quasi perfetta dei vizi di cui la politica e l’establishment italiani non riescono a liberarsi. A metà settimana Danièle Nouy, a capo della Vigilanza europea, fa sapere che vuol introdurre un nuovo metodo per stabilire quanto valgono le esposizioni non performanti, vale a dire i soldi prestati a vario titolo che non rientrano. Le nuove regole riguardano solo le nuove posizioni, non il passato, i mutui immobiliari sono fuori, e l’intero impianto viene sottoposto a pubblica consultazione per poter recepire le osservazioni del mercato prima dell’entrata in vigore a inizio 2018.

Cosa prevedono? Il punto principale è che i prestiti non assistiti da collaterale a garanzia, tipicamente i finanziamenti personali per comprare il frigo, che quando esce dal negozio non vale più niente, dopo 2 anni che il debitore non paga devono avere a bilancio una copertura integrale, in pratica valgono zero, mentre quelli che hanno un qualche tipo di garanzia, esempio l’automobile, un capannone, un brevetto, un altro credito vantato dal debitore, possono stare nella colonna dell’attivo per sette anni prima di toccare lo zero del pavimento. Attenzione, i mutui sono fuori. Non sembra una cattiva idea. Le banche europee si sono quasi tutte ricapitalizzate, stanno facendo pulizia dei vecchi NPL, la ripresa e in prospettiva tassi di interesse al rialzo restituiscono margini di interesse, forse è il momento buono per attrezzarsi e fare in modo che la catastrofe degli anni passati non si ripeta in futuro.

Le banche americane non hanno bisogno di una Nouy che imponga di azzerare le esposizioni che non rientrano. Se uno non paga per due anni, perché dovrebbe cominciare a farlo il terzo? Infatti non aspettano due anni, tirano una riga, mettono tutto a perdita e si riparte. Attenzione anche qui. Non vuol dire che abbuonano il credito al debitore insolvente. Gli danno la caccia senza pietà e senza limite di tempo. E quando lo beccano, aiutati anche da una giustizia che non rimane addormentata per decenni, magari recuperano qualcosa. E quel qualcosa quando finisce in bilancio è un profit, perché il valore del credito era stato già portato a zero. Fanno così anche nei confronti del grande debitore, non solo con il poveraccio che non paga le rate dell’auto.

Ha fatto storia la crisi del debito dei paesi dell’America Latina degli anni ‘80, miliardi di dollari che non rientravano. Hanno tirato una riga e sono ripartite. Ovviamente per farlo bisogna avere spalle molto larghe in termini di capitale di riserva o di merito di credito. Da notare che Wall Street premia regolarmente questo tipo di comportamento. Da noi invece la Nouy è stata immediatamente messa al rogo, più dai politici e in generale dall’establishment che dalle banche interessate. Argomento principale: se le banche devono azzerare il valore dei crediti non performanti entro 2-7 anni, per la piccola impresa sarà più difficile e oneroso ottenere un prestito. Potrebbe essere un bene, e convincere le imprese più piccole ad essere meno dipendenti dalle banche e rivolgersi al mercato dei capitali. Oltretutto siamo in pieno boom di PIR.

Argomento secondario: 2-7 anni sono tempi troppo corti per la giustizia italiana, a cui ovviamente spetta il compito di dare ragione al creditore e torto al debitore per farlo finalmente pagare. Anche qui potrebbe essere un bene, l’occasione per accelerare un po’ i tempi di una macchina che va ancora a vapore ai tempi del turbo. Poi ci sono gli indignati interessati. Come qualche broker che annusa l’affare, si mette al ribasso sui bancari, fa uscire un report che prevede catastrofi per le banche a causa dell’incosciente Nouy, e poi si ricopre con un capital gain a due cifre nel giro di pochi giorni. Il problema vero delle banche italiane non si chiama Nouy. Si chiama normalizzazione della politica monetaria. La Fed va avanti tranquilla un quartino alla volta e fa partire il Quantitative Tightening, iniziando a drenare un pochino alla volta l’oceano di liquidità con cui ha inondato il mercato con il Quantitative Easing.

La BCE sta a guardare ma non potrà farlo per sempre. L’inflazione globale sta rialzando la testa, come ha scritto FinanciaLounge nell’ultimo numero del mensile EasyWatch, e la discussione sull’uscita dallo stimolo monetario è iniziata. Quando la Germania, tra qualche mese, avrà un governo, sarà un governo meno propenso della Grosse Koalition ad essere tollerante sui tassi negativi e sugli sconfinamenti di bilancio. All’orizzonte ci sono tassi di interesse in salita, anche in Europa. Per le banche in generale è una buona notizia, vuol dire margini di interesse che si riaprono. Per quelle italiane un po’ meno, perché il quadro che si delinea è di un debito pubblico in sofferenza, oltretutto in coincidenza con le elezioni politiche più confuse e incerte da almeno un quarto di secolo. E i portafogli delle banche italiane, di quel debito, sono pieni. La Nouy ha offerto solo la scusa per allinearsi con questo scenario.

Bottom line. L’antipatica Danièle ha offerto al sistema Italia su un piatto d’argento un’occasione forse storica per mettere un paletto di svolta su uno dei problemi che affliggono da decenni il sistema del credito. I nostri politici, soprattutto quelli che si candidano a cambiare l’Italia, in quel piatto ci sputano. Pensano di recuperare qualcuno dei voti persi per la gestione improvvisata della crisi bancaria da cui stiamo in qualche modo uscendo? Gli americani chiamano quest’atteggiamento ‘blame the dog’ dare sempre la colpa al cane. Non funziona quasi mai.
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