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Germania regina dell’export: un problema (anche) europeo

L’Italia costretta all’ennesima manovra correttiva mentre il surplus commerciale della Germania supera ancora il 6% del PIL raccomandato dall’UE.

3 Febbraio 2017 17:19
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Mentre la Commissione europea chiede all’Italia l’ennesima manovra correttiva sui conti pubblici, la Germania conferma un surplus commerciale ben oltre il 6% del PIL. Sarebbe questa, infatti, la percentuale raccomandata dall’Ue, come ricordato anche da Matteo Renzi. Su Facebook l’ex presidente del Consiglio la definisce “una violazione che fa male a tutta l’Europa” invocando “se vogliamo essere seri” il rispetto delle regole “anche da parte degli amici tedeschi”.



Secondo i calcoli dell’IFO di Monaco di Baviera, il surplus commerciale tedesco nel 2016 sarà dell’8,6%. Un dato che riporta la Germania sul gradino più alto del podio dell’export, grazie a un saldo nella bilancia delle partite correnti di 268 miliardi di euro. Nonostante i richiami dello scorso settembre del governatore Draghi, dunque, la Germania continua a sforare il limite imposto dall’Ue.

Tuttavia, i ‘falchi’ tedeschi non hanno nessuna intenzione di perdonare le eccedenze in bilancio dei paesi mediterranei, a cominciare dall’Italia. Dopo la richiesta di una manovra correttiva da 3,4 miliardi, Padoan e Gentiloni hanno affidato a una lettera inviata all’UE - che da 8 anni assiste senza scomporsi al superamento della soglia del 6% da parte dei tedeschi - la speranza di evitare una procedura di infrazione.

È giusto sottolineare che stiamo parlando di elementi diversi: basta pensare che lo sforamento del surplus commerciale non porta a sanzioni, come accade per i limiti imposti a bilancio e debito. Infrazioni di portata diversa, certo, ma pur sempre legate a regole comuni. Anche se, almeno in via teorica, un governo può incidere più efficacemente su uno squilibrio di bilancio (tagliando le spese e aumentando le entrate) mentre non può controllare direttamente il surplus commerciale.

A tale proposito diversi esperti, non solo italiani, hanno criticato questo atteggiamento della Germania, sottolineando che accumulare risorse senza investire penalizza tutti i paesi della zona Euro, creando squilibri nelle economie nazionali. Immuni alle critiche, Merkel e il ministro delle Finanze Schauble proseguono dritti sulla strada che li ha portati, nel 2016, a diventare il primo paese esportatore nel mondo, davanti anche alla Cina.

Vale la pena, però, evidenziare qualche retroscena per comprendere come la Germania sia diventata la fabbrica del mondo. Grazie a capacità industriale e innovazione, certo, ma anche alla scaltrezza nello sfruttare la manodopera a basso costo dei paesi dell’Est che fanno parte del mercato unico (dunque non soggetti a dazi) ma nei quali si pagano ancora stipendi in valuta locale.

Produrre in Polonia pagando stipendi in zloty, assemblare in Germania ed esportare utilizzando l’euro (reso più debole dai problemi di altri paesi dell’Unione) o il dollaro: ecco un esempio di filiera industriale tedesca. Corretto? Scorretto? Per il momento, numeri alla mano, funziona piuttosto bene. Solo per la Germania, naturalmente.

Tornando invece al surplus commerciale, Berlino si difende ricordando che l’export in eccedenza è verso paesi extra UE. A questo punto non è escluso un ‘approfondimento’ nei confronti della Germania: un modo per dimostrare che Bruxelles, almeno formalmente, tratta tutti i paesi membri allo stesso modo. Sullo sfondo resta comunque il problema di una UE ‘a due velocità’, come confermato dal 2% sfiorato dall’inflazione tedesca a gennaio e dall’1,8% raggiunto nell’Eurozona. Un dato a supporto delle critiche di Berlino al Quantitative Easing della BCE di Mario Draghi che, di fatto, è fondamentale per il bilancio italiano.
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