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Azioni, adesso global vuol dire più rischio

Una volta essere global era un plus. Ora sta diventando un minus. Populismo in ascesa e commercio mondiale in calo allontanano gli investitori.

24 Ottobre 2016 00:01
financialounge -  Ansell ford globalizzazione McDonald's mercati azionari

Sotto accusa il rallentamento del commercio mondiale, a sua volta in parte causato dal populismo crescente induce ad alzare barriere protezionistiche. Un insieme di fattori che va ad erodere la redditività delle grandi corporation globalizzate e che alla lunga potrebbe agire da deterrente sul mercato azionario.

La globalizzazione è stata per tre decenni il motore degli scambi globali e dell’accelerazione dei flussi di capitali da un paese e da un continente all’altro. E infatti negli ultimi 30 anni, da ottobre 1986 ad oggi, nonostante i vari crash e l’esplosione delle bolle speculative, il valore dell’indice S&P 500 è aumentato di quasi nove volte, secondo i dati di FactSet.

Ma ora non pochi ritengono che la festa stia per finire, e che il ciclo della globalizzazione abbia raggiunto un picco da cui può solo arretrare. Cosa vuol dire per l’investitore? Sicuramente si tratta di un trend che non sarà accolto bene dal mercato in generale e azionario in particolare, che non sarà più disposto a pagare un premio per detenere in portafoglio i titoli più globalizzati, a partire dalle grandi multinazionali.

Ma questo non vorrà necessariamente dire un abbandono dell’azionario in quanto tale, anche perché sul terreno del reddito fisso di alternative per ora ce ne sono davvero poche. Secondo alcuni esperti il cambio di umore sulla globalizzazione porterà invece a favorire i cosiddetti campioni nazionali, soprattutto sui mercati emergenti, che saranno i più favoriti dal crescente protezionismo. Come ad esempio i grandi gruppi cinesi di internet, oppure le compagnie aeree dell’America Latina.

Quello che è abbastanza sicuro è che quest’anno il commercio globale segnerà la crescita più lenta dal 2007. Se su questo punto le previsioni convergono, molto più difficile è dire quando, e perfino se, il mutato trend impatterà gli utili delle grandi imprese. Il grande provider di indici azionari globali MSCI ad esempio stima che “se” le politiche protezionistiche dovessero rafforzarsi significativamente e “se” la spesa pubblica dovesse aumentare di molto nei prossimi due anni, questo vorrebbe dire una possibile perdita di valore del 17% sull’azionario USA e del 20% su quello europeo.

Come vediamo, ci sono molti “se”. Oggi la situazione resta divergente tra le due aree, con lo S&P 500 in rialzo di circa il 4% rispetto a inizio anno e lo Stoxx 600 relativo all’azionario europeo in calo del 7,7%.

Quello che è certo è che uno scenario de-globalizzato presenta ancora più incertezze di quello attuale. La parola d’ordine dovrà essere selettività. Ma cosa selezionare non sarà semplice. Basti pensare quanto la globalizzazione ha cambiato il mondo e quali titoli ha favorito, dalle catene di fast food come McDonald’s, ai produttori di auto come Ford, fino a un nome poco noto come l’australiana Ansell Ltd, uno dei maggiori produttori di profilattici del mondo, che il Wall Street Journal, in una recente analisi, mette tra quelli che soffriranno per un mercato meno globale.
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