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International Editor's Picks

International Editor’s Picks – 07 dicembre 2015

7 Dicembre 2015 05:02
financialounge -  International Editor's Picks isis petrolio rivoluzione fiscale vietnam
Non sono i migranti, non il terrorismo, ma i soldi che non ci sono e che servirebbero all’Europa per venire a capo dei due problemi. Almeno così la pensa il New York Times secondo cui il continente, più che di spie e generali, in questo momento avrebbe bisogno di contabili. Dopo gli attacchi di Parigi servono tre cose, scrive il Times: riprendere il controllo dei confini, identificare e sistemare da qualche parte i rifugiati, riformare la sicurezza in modo da togliere il terreno sotto i piedi allo jihadismo urbano. Ma la crisi del debito si è già mangiata tutte le risorse che servono. Perfino in Gran Bretagna l’austerity ha ridotto le forze armate ai minimi dai tempi di Napoleone, la Marina Greca è senza carburante così come i Guardacoste italiani mentre la polizia di confine bulgara protesta in strada perché non è pagata. La soluzione può venire solo da una rivoluzione fiscale, come quando Franklin D. Roosevelt introdusse la Victory Tax quando la seconda Guerra Mondiale era ancora tutta da vincere.

Quaranta anni dopo la fine della guerra più contestata della storia, il Vietnam torna al centro dell’attenzione di due grandi super potenze. Ma, questa volta, Stati Uniti (sempre loro) e Cina potrebbero essere in convergenza e non in conflitto di interessi sulla dinamica economia della penisola indocinese. Almeno così scrive la Reuters, secondo cui i leader cinesi vorrebbero trasformare il Vietnam nello hub regionale della nuova Via della Seta sul Mare, uno dei grandi progetti del presidente Xi Jinping. Ma le relazioni tra Cina e Vietnam non sono delle migliori, con il secondo sempre diffidente nei confronti del grande – e spesso aggressivo – vicino del Nord. Mentre quelle tra Vietnam e Usa sono in continua e positiva evoluzione, con scambi bilaterali per $35 miliardi l’anno che vedono il Vietnam sempre più impegnato a diventare uno degli esportatori più importanti verso l’America. Inoltre, il Vietnam ha sottoscritto con gli americani la Trans-Pacific Partnership, che invece esclude, almeno per ora, la Cina. Insomma, per i cinesi la strada per Hanoi passa per Washington.

Perchè gli USA sono così riluttanti a bombardare i pozzi dell’Isis? Se lo chiede il sito specializzato Oilprice per arrivare a una risposta abbastanza inattesa. I pozzi costituiscono la principale fonte di finanziamento dello Stato terrorista che in qualche modo si è fatto spazio in diverse parti del mondo, ma soprattutto tra Nord Ovest dell’Iraq e Est della Siria. Bombardarli sembra la cosa più ovvia per chiudere anche i rubinetti dei quattrini. Ma, nota Oilprice, l’Isis non esporta il petrolio che estrae sui mercati internazionali, ma lo vende quasi tutto localmente, per ragioni prima di tutto logistiche. Lunghe file di autobotti lo portano dall’Iraq ai confini siriani. E chi lo compra? Qui arriva la risposta e anche la spiegazione dei mancati bombardamenti. Lo comprano le truppe di Assad, che l’Isis vuole abbattere, ma anche tutte le formazioni ribelli che non vogliono Assad ma vogliono ancora meno l’Isis. Quindi in ultima analisi il petrolio dell’Isis serve a far marciare le formazioni armate che, per i più svariati motivi, combattono proprio l’Isis. Perchè farle rimanere senza benzina?
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